Il regista di Lux Santa ripensa al documentario girato a Crotone nel Rione Fondo Gesù e al proprio obiettivo come autore: «Chi cresce qui cerca sempre una strada per emergere». Il prossimo progetto sarà un viaggio nella regione che resiste allo spopolamento
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L’obiettivo di un regista e autore è «conservare il tempo». E Lux Santa, il documentario di Matteo Russo, prova a farlo a partendo dalle tradizioni e dalla Calabria: dalle radici, insomma.
Lux Santa presto a Catanzaro e Reggio Calabria. Con il regista parliamo del suo importante e apprezzato documentario. Come e quando è nato e se c’entrano il fuoco e le tradizioni da salvare.
«Lux Santa nasce dalla volontà di preservare una tradizione che, durante il periodo pandemico, rischiava di perdersi. Quando con Carlo Gallo abbiamo pensato al film, volevamo lasciare un documento alla comunità che potesse rimanere nel tempo. Allo stesso tempo, sentivamo la necessità di rendere questa tradizione universale, affinché potesse arrivare a un pubblico più vasto. Così, abbiamo inserito i nostri ricordi d’infanzia e di adolescenza: di quando, insieme agli amici, mi sporcavo le scarpe di fango per portare avanti un rito che per me ha sempre significato comunità e identità».
Possiamo dire brevemente chi è Matteo Russo e cosa significa per te la Calabria.
«Come autore e regista, credo che abbiamo una responsabilità enorme: conservare il tempo. La Calabria è la mia terra, il luogo che mi ha formato e che mi ha offerto le prime esperienze da raccontare. È una regione piena di contrasti, dove bellezza e difficoltà convivono. Ho sempre trovato ispirazione nei luoghi che mi hanno cresciuto. Per me la Calabria è radici, memoria e ispirazione».
In Lux Santa compaiono i murales del cantautore Rino Gaetano di Jorit e quello del calciatore Jonathan Porto di Claudio Chiavallaroti. Cosa significa questa scelta?
«Rino Gaetano e Jonathan Porto rappresentano due facce della stessa Calabria: il sogno e la resistenza. Rino ha dato voce a un Sud spesso dimenticato, con ironia e poesia. Jonathan, amico dei miei protagonisti, ha incarnato la speranza di un riscatto. I loro murales non sono semplici sfondi nel film, ma simboli di cosa significa crescere qui: cercare sempre una strada per emergere, senza dimenticare da dove si viene».
Il fuoco di Santa Lucia: il fuoco come rinascita e speranza, esattamente come la musica e il calcio nelle zone più difficili di questa nostra terra.
«Quando abbiamo iniziato a scrivere Lux Santa, ci siamo resi conto di avere a che fare con uno degli elementi primordiali per eccellenza: il fuoco. Il fuoco brucia, trasforma, illumina e lascia cenere. Per questo motivo, abbiamo voluto valorizzarlo, dandogli un ruolo centrale e materico nella struttura del film. Per me, il fuoco è l’anima dei ragazzi che, nella notte del 13 dicembre, si illumina, regalando loro speranza, crescita e la possibilità di urlare al mondo: Noi esistiamo!».
La realtà e la finzione. Nel tuo film ai ragazzi che hanno recitato non avete consegnato una sceneggiatura definita. Come dire: i personaggi sono veri, reali. Le storie sono storie vere. Questa è un’operazione di alto valore culturale.
«Sì, ho voluto che il film fosse il più autentico possibile. Ho lavorato per un anno intero con i ragazzi di Rione Fondo Gesù, che realmente portano avanti la tradizione dei fuochi di Santa Lucia, senza costringerli e senza mai far loro leggere un copione rigido. Con Carlo avevamo scritto un semplice canovaccio di scene, luoghi, persone e tematiche, ma l’approccio documentaristico implica che è impossibile prevedere la natura dei fatti. Così, ogni mattina riscrivevamo la struttura del film direttamente sul set. Le loro storie sono vere, i loro dialoghi spontanei. Questo metodo ha dato al film un’anima genuina, che è il cuore del cinema: raccontare la realtà con sincerità e senza artifici».
Hai fatto un’esperienza di studio alla New York Film Academy di Los Angeles. Cosa ti ha lasciato nel lavorare in Calabria?
«Mi ha insegnato a guardare il cinema con occhi diversi, a pensare in grande, a non pormi limiti. Ma soprattutto mi ha fatto capire che il vero valore di un film sta nelle storie che racconti. E la Calabria è una terra di storie incredibili, un set naturale che aspetta solo di essere scoperto».
Hai fondato qualche anno fa il Calabria Movie International Short Film Festival. Con quale obiettivo?
«Il Calabria Movie nasce con l’obiettivo di valorizzare i giovani autori, creando un luogo in cui il cinema indipendente potesse trovare una casa anche in Calabria e connettersi con il panorama cinematografico italiano. L’idea era portare questi talenti emergenti a un pubblico che spesso non è abituato al cinema, ed è proprio qui che risiede il valore culturale del nostro evento. La nostra missione è farlo diventare un appuntamento di riferimento per la città di Crotone, capace di abbracciare il cinema e l’arte a 360 gradi».
Prossimo lavoro?
«Come dicevo prima, la conservazione del tempo è un tema centrale nella mia ricerca artistica. Sto lavorando a un nuovo progetto corale con il mio socio Antonio Buscema, scritto insieme al giovane autore Carlo Facente e al veterano antropologo Vito Teti. È un progetto che racconta la conservazione dei luoghi, l’amicizia e una Calabria che resiste ancora oggi allo spopolamento».