La polemica

La miniserie Rai “La Sposa” nella bufera: Gioffrè parla di razzismo verso i calabresi, per Spirlì «fa cag…»

VIDEO | Critiche alla fiction che racconta una storia calabrese ma con alcune scene girate in Puglia. Il più scatenato è l’ex presidente facente funzioni che tra le righe confessa che neppure il corto di Muccino gli è mai piaciuto

di Agostino Pantano
19 gennaio 2022
17:30

Dopo Muccino, Campiotti, e dopo la Regione che paga, la Rai che manda in onda fiction: è nuovamente polemica intorno al prodotto audiovisivo che racconta la Calabria e, questa volta, nel mirino finisce “La Sposa”, la miniserie della prima serata di Rai 1. Come al solito sono i social la cassa di risonanza di sfoghi dal linguaggio più o meno continente, analisi critiche più o meno compiute, ma ciò che conta è che il partito degli stroncatori appare – anche questa volta - politicamente trasversale e dai nomi illustri.
Si va dal leader calabrese di Legacoop, Giancarlo Rafele, nella cui bocciatura vi è anche un’accusa di quasi plagio – copiature mal riuscite del libro del collettivo Palanca, “Ti ho visto che ridevi” - per il film di cui è regista Giacomo Campiotti con Serena Rossi e Giorgio Marchesi.

Al coro si è unito anche l’ex presidente facente funzioni della Regione, Nino Spirlì, che torna al linguaggio politicamente scorretto scrivendo che la fiction «fa cagare», dopo aver fatto intendere che a lui il famoso “corto di Muccino” non piaceva più di tanto. Da destra a sinistra, sono davvero tanti ad esprimersi così come fu al tempo dello spot con Roul Bova, in quel caso pagato dalla Cittadella per immortalare una regione folkloristica e attraversata anche dai ciucci, e in questo caso verso un prodotto che non era partito nel migliore dei modi, visto che ambienta una storia nella Calabria degli anni 60, ma gira le scene in… Puglia.


«Si tratta di un falso storico – sostiene lo scrittore Santo Gioffrè – perché viene raffigurata una Calabria in cui la donna partecipava ad una sorta di mercato in piazza. Quanto di più falso per un periodo che invece ha visto una Terra capace di ribellione e riscatto». A partire da questa annotazione storica, contro un film che collega il fenomeno di costume del matrimonio per procura alle latitudini calabresi – Gioffrè legge un tratto che definisce «razzismo – prosegue – perché l’operazione impone che si pensi che vista la base di partenza, la Calabria di oggi accetta la 'ndrangheta e la malasanità perché non sa ribellarsi».

Gli ascolti stanno dando ragione alla Rai, ma anche in Puglia non sono mancate le polemiche – sollevate da chi ha trova sbagliato mostrare dei luoghi che non c'entrano nulla con la storia narrata – e si vedrà come i personaggi si muoveranno nelle due puntate che mancano, ma qui il tema non è il gusto estetico che è personale e neanche gli indici d’ascolto, bensì la narrazione della Calabria che i calabresi non vogliono né nuova né vecchia, ma soltanto giusta e corretta. «Occorre spiegare la condizione di partenza della regione – conclude Gioffrè – ma nel farlo non si possono inventare sceneggiature che non hanno fondamento storico».

Giornalista
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