Martina Semenzato torna in libreria: «Vi parlo di cellulite per sconfiggere le insicurezze e volerci più bene»

Con “I Love Me - Come eliminare cellulite e pancia... dal nostro corpo e dalla nostra testa”, edito da Sperling&Kupfer, l’imprenditrice veneziana torna a parlare di bellezza tra ironia e dritte

di Alessia Principe
23 ottobre 2021
15:18

Il peggior nemico ce l’abbiamo in casa. Ed è talmente furbo da riuscire a insinuarsi prima nelle nostre teste e poi nelle nostre cosce. Non è silenzioso, anzi, parla e anche tanto, né tantomeno è invisibile, perché ce lo ritroviamo ogni giorno nello specchio. Il nemico di cui parliamo si chiama insicurezza, ma lui è così scaltro da presentarsi con un altro nome: cellulite. Così è più gestibile, più evidente, ma sconfiggerlo solo con tubetti di pomata è uno sforzo inutile, perché tutto parte dalla testa, il luogo elettivo di ogni ossessione, degenerazione naturale di pensieri ricorrenti che da flussi migratori temporanei diventano melme di paura.

Specchio, schiavo delle mie brame...

Martina Semenzato, imprenditrice veneziana di successo e scrittrice, torna a parlare a uomini e donne nel suo ultimo libro, appena uscito per Sperling&Kupfer: “I Love Me - Come eliminare cellulite e pancia... dal nostro corpo e dalla nostra testa”. Un libro che si districa tra suggerimenti, aneddoti, e animazioni da gustare sul proprio smartphone grazie ai codici Qr stampati fra le pagine. Insomma un volume in continuo divenire, che non si consuma mai.


Martina, secondo te, quando smettiamo di sentirci belle, adeguate? A che età scatta il famoso meccanismo infernale dello specchio matrigna?

«La radice delle nostre debolezze credo sia ancestrale, risale a un’età molto tenera. Viviamo in una società che ci invia continuamente input molto contraddittori: da un lato abbiamo gli stereotipi di una bellezza canonica con cui ci tempestano, e dall’altra parte, invece, troviamo quella corrente che ci incoraggia ad accettare anche fisici diversi da quelli mostrati dai media. Non è per niente facile unire il modello che ci è imposto con la realtà dei nostri corpi».

Cosa possono fare i genitori per mitigare queste insicurezze prima che si cronicizzino?

«Gli occhi devono essere sempre puntati sui figli per captare anche minimi segnali che possano preludere a una certa insoddisfazione nell’accettazione del proprio corpo. Un ruolo fondamentale ce l’ha anche la scuola dove, per tre quarti del tempo, i ragazzi vivono e dove si manifestano episodi che finiscono per segnare la vita, parlo del bullismo, del dileggio. Spesso, sì, le ferite che ci autoinfliggiamo sono le peggiori ma sono aggravate da quelle che ci arrivano anche dalla nostra compagna di banco. La società civile deve puntare con più convinzione sull’arricchimento culturale della persona, quindi sul contenuto, la testa, questo senza portarci a trascurare il contenitore».

Forse tutto nasce da lì, dalla separazione tra “giusto” e “sbagliato”. I bambini, si sa, sono spugne, e finiscono per diventare adulti infelici se non riescono ad avvicinarsi al modello che conoscono come corretto.

«Quello che dico sempre, e che è anche il leit motiv di questo secondo libro, è che la simmetria non appartiene a questo mondo, questo va compreso bene. In natura la maggior parte delle piante e degli animali sono asimmetrici. È l’imperfezione che ci rende unici, questa non è accettazione passiva di se stessi, malattie come l’obesità o altro, vanno monitorate e combattute con l’aiuto di medici e psicologi».

Secondo te l’atteggiamento del mondo della moda, spinto dal concetto del body positive e terrorizzato dall’essere additato come fonte di body shaming, è un po’ ipocrita? In passerella vediamo sfilare taglie oversize e poi, dopo poco, modelle androgine al limite dell’anoressia.

«Non si può cambiare dall’oggi al domani un percorso radicato da decenni di stereotipi. Credo che si andrà incontro a una società dove la normalità sarà diffusa, il che non vuol dire abbracciare una certa forma di qualunquismo, ma promuovere l’espressione più alta di ogni essere. Però posso capire che la moda sia dettata da elfi bellissimi, come è giusto che sia, perché è il sogno che ti porta a migliorare. Io non sono così critica quando vedo sfilare in passerella ragazze magre, perché possono essere da stimolo, sono critica nei confronti dell’imposizione e dell’esasperazione. La bellezza è cultura e contaminazione, è bello vedere una sfilata di donne quasi dee ma è anche bello osservare la normalità di una persona che indossa quell’accessorio o quel vestito in maniera magari più "soffice"».

A scorrere i social balza all’occhio come siano proprio le donne le più agguerrite critiche delle altre donne. Basta leggere i commenti sotto la foto di un’attrice o ex modella un po’ ingrassata, per accorgersi di questo accanimento tutto femminile. Perché accade?

«I social, tra le cose buone che hanno portato, hanno purtroppo anche legittimato la critica fine a se stessa: tutti si sentono in diritto di dire quello che pensano senza filtri. Ti parlo da cinquantenne a cui la propria madre ha insegnato una cosa fondamentale: l’educazione. La critica feroce non porta a niente. In “I Love me” confermo che noi donne siamo tremende perché appena cogliamo un’imperfezione in noi stesse ne andiamo a cercare subito un’altra e spesso lo facciamo anche nei confronti della nostra vicina di banco».

Donne nemiche e amiche…

«Come diceva il mio insegnante di latino: “Siamo degne figlie di Eva”. C’è sempre una traccia di mela e di serpente dentro di noi, però c’è anche una bella componente di solidarietà. Siamo capaci di litigare e poi piangere, chiedere scusa, ricongiungerci per fare un tratto di strada insieme. Io credo che le persone che colpiscono per ferire e basta, resteranno sempre confinate nei loro commenti che però fanno male. Lo scrivo sempre su “Il love me”: le cattiverie possiamo combatterle con l’ironia ma le parole hanno un peso e quelle scritte con malignità qualche taglio ce lo procurano, inutile nasconderlo».

Che rapporto hai con il tuo corpo e perché hai sentito l’esigenza di scrivere questi libri in cui cerchi di analizzare questa rincorsa alla perfezione?

«Come dico sempre: indipendentemente da come siamo, ognuno di noi ha i suoi demoni. Io ho sempre rincorso la perfezione fisica forse perché allo stesso modo rincorro la perfezione intellettuale. L’incipit del mio primo libro era un po’ forte ma credo abbastanza centrato: “La testa viene sempre prima del culo”, culo è una parola che dovremmo sdoganare anche perché Dante stesso la cita nella Divina Commedia. Io ho deciso, scrivendo, di esorcizzare la mia fragilità attraverso la condivisione di quella che è la nostra vita attraverso la cellulite e la pancetta».

Il tuo è un libro da leggere da varie prospettive.

«È un libro che parla molto di me, delle mie esperienze di vita, ci sono nozioni, dritte simpatiche. Mi piace anche il ruolo delle nostre estetiste che, nel corso della vita, diventano delle compagne di viaggio che con un tubetto di crema e un consiglio alleggeriscono un po’ le nostre vite».

Parliamo di uomini. Loro non soffrono come le donne il passare del tempo, spesso si trascurano con soddisfazione.

«Loro vivono l’aspetto fisico con più leggerezza. In questo secondo libro l’argomento “pancia” è più legato all’universo maschile. Noi donne appena vediamo una cellula adiposa andiamo in panico, gli uomini, appena l’età gli regala le rotondità, rispondono: “Uomo di panza, uomo di sostanza”. Sotto questo aspetto sono più intelligenti, si fanno molte meno fisime e vivono meglio. Hanno capito che un’accettazione consapevole sia far vedere le cose in prospettive diverse. Sono così: basici, per questo li amiamo profondamente. E poi, diciamo le cose come stanno: gli uomini intelligenti la cellulite delle loro donne neanche la vedono. Se un uomo vi critica per il vostro aspetto fisico non è quello che fa per voi. L’uomo giusto è quello che vi cammina a fianco, non dietro per vedervi il culo e nemmeno avanti per vedere quello delle altre».

Giornalista
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