“Non chiamateli eroi”, il nuovo libro di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso rivolto ai giovani

VIDEO | Da Peppino Impastato a Lea Garofalo e don Pino Puglisi, le storie di chi è morto per mano delle mafie: «Abbiamo voluto umanizzare queste figure in modo tale che i ragazzi  possano identificarsi in un qualcosa di raggiungibile»

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di Rossella  Galati
11 giugno 2021
20:05

Da Peppino Impastato, a Lea Garofalo, a don Pino Puglisi, partendo dalle figure di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sono tante le storie raccontate dal procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri e dall’esperto di ‘ndrangheta e docente di storia sociale della criminalità organizzata, Antonio Nicaso, nel nuovo libro scritto a quattro mani “Non chiamateli eroi”. Questa volta ci si rivolge soprattutto ad un pubblico giovane, lo stesso che il procuratore Gratteri è solito incontrare per spiegare la non convenienza a delinquere. Pagine intense che raccontano la vita di uomini e donne morti per mano della criminalità  che con il loro sacrificio e il loro coraggio hanno contribuito a contrastare.

 Esempi raggiungibili

«Nell’ultimo libro abbiamo voluto raccontare delle storie, soprattutto dal punto di vista umano. Abbiamo cercato di “demitizzare” certi drammi che hanno attraversato il 900, che hanno attraversato gli ultimi decenni, noi non vogliamo mitizzare grandi uomini come Falcone e Borsellino perché non vogliamo vederli come irraggiungibili -  spiega Gratteri -. Al contrario, li abbiamo voluti umanizzare in modo tale che i ragazzi  possano identificarsi in un qualcosa di raggiungibile. Noi non vogliamo che questi vegano considerati eroi ma delle persone coraggiose con un grande senso di etica e di integrità sul piano morale. Sapevano perfettamente di rischiare la vita. E malgrado questo, grazie a quei valori che hanno avuto all’interno delle loro famiglie e delle scuole, che sicuramente hanno contribuito alla loro formazione, sono riusciti poi ad essere modello di migliaia di ragazzi».


Il miracolo dopo la morte

«Il miracolo fatto da Falcone, da Borsellino, da Livatino, e da tutti quelli che sono morti per mano violenta delle mafie, non è stato quello che hanno fatto in vita ma quello che è accaduto dopo la loro morte e cioè che nel dramma sono riusciti ad avere un seguito di migliaia di ragazzi che non hanno mai conosciuto questi grandi uomini e queste grandi donne ma per loro sono diventati dei modelli di vita. Questo è il grande miracolo che tutte queste persone hanno fatto per il grande senso dello Stato, della libertà e della giustizia che avevano nella loro carne, nel loro sangue».

 «La loro forza sta nella nostra debolezza»

Incontriamo il procuratore di Catanzaro a Chiaravalle Centrale, in occasione di un incontro con gli studenti dell’Istituto comprensivo Corrado Alvaro, diretto da Maria Carmen Aloi, che gli hanno dedicato un murale della legalità  a conclusione di un progetto avviato lo scorso anno, che ha previsto anche la lettura del suo libro "L'inganno della Mafia". Anche in questa occasione Gratteri manda un messaggio chiaro ai giovani riprendendo, tra tutti, l’esempio del mugnaio calabrese Rocco Gatto, ucciso dalla ndrangheta nel 1977. Era lui che diceva: “la loro forza sta nella nostra debolezza”. Anche la sua storia nelle pagine del nuovo libro. «Noi abbiamo voluto fortemente dedicare un capitolo a Rocco Gatto perché anche negli anni ’70 c’era l’antimafia in Calabria non celebrata, non conosciuta ai più. Noi conoscevamo solo l’antimafia siciliana mentre c’era un’antimafia in Calabria. Tanti uomini giusti sono morti perché hanno combattuto la ndrangheta in silenzio e perché erano soli. Sono morti perché non erano legati in rete tra loro. E quello di Rocco Gatto è un grande esempio di uomo retto che ha avuto una grane etica e mortale, un grande impegno. Con il professore Nicaso abbiamo studiato la storia della sua famiglia, io sono andato a trovare i parenti, ho fatto una ricerca, ho trovato documenti. Perché ho voluto fortemente che almeno la storia di un calabrese fosse riportata in un libro che avrà sicuramente diffusione nazionale».

L'appello ai genitori

È un grande lavoro quello che Gratteri sta portando avanti e non solo da un punto di vista giudiziario: «È un lavoro di lungo periodo, faticoso e  quotidiano che spesso viene fatto senza i riflettori. Dobbiamo soprattutto convincere le famiglie di dedicare più tempo ai figli e  stargli più vicino, per non farli diventare sempre di più figli di internet». Un impegno che parte dalla conoscenza diretta delle dinamiche criminali essendo cresciuto in quella stessa terra che ha dato i natali a tanti ndranghetisti: «Per me, avere conosciuto da vicino la ndrangheta è stato fondamentale, significa avere una marcia in più per poter arrivare prima, poter capire e dominare sul piano del confronto o dello scontro ma sempre nel rispetto delle regole del codice. Questo mi ha aiutato tantissimo e mi ha dato la possibilità di poter penetrare nelle viscere della filosofia criminale della ndrangheta».

Il ruolo della scuola

Tra tutte,  la cultura resta per Gratteri l’arma che potrà salvare la società: «Io penso che i governi degli ultimi decenni abbiano investito poco nelle scuole. Penso che gli insegnanti tendenzialmente potremmo definirli degli eroi perchè gli insegnanti italiani sono quelli meno pagati dopo i greci e fanno un lavoro straordinario. Danno l’anima per i ragazzi. E allora, se ci fosse veramente la volontà di un cambiamento, bisognerebbe pagare meglio gli insegnanti,  bisognerebbe fare assumere altri insegnanti per farli lavorare di pomeriggio, di sera e far stare i ragazzi il più possibile nelle scuole anziché andare a casa e nutrirsi di cultura mafiosa o chiudersi nella stanzetta attaccati ad internet».

«Occupate gli spazi vuoti»

«Noi stiamo cercando di fare tutto il possibile per rendere liberi degli spazi occupati dalle mafie - ribadisce il procuratore di Catanzaro -. E allora io vi chiedo: il giorno dopo le operazioni, occupate quegli spazi, impegnatevi nel sociale, in politica, nel volontariato. Siate presenti, non lasciate la piazza libera altrimenti quella piazza sarà occupata dai figli, dai nipoti degli ndranghetisti».

Giornalista
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