Caracciolo, un altro premio: i Carbonari espugnano Fiumefreddo Bruzio

Il concorso fotografico “Relazioni - Il coraggio di mettersi in gioco”, lo ha visto emergere con la foto tratta dal reportage sui carbonai di Serra San Bruno. L’opera, tra le più note e diffuse del maestro tropeano, lo ha portato sul podio ex aequo con i fotografi Barbara Cannizzaro e Davide Domenichelli

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di Monica La Torre
31 luglio 2019
15:30

Saverio Caracciolo, fotografo di grande e riconosciuta potenza espressiva, prosegue nel suo iter di riconoscimenti nazionali. L’ultimo tributo incassato dal videomaker, giornalista e fotoreporter in forze al Network LaC è squisitamente calabrese. È del 27 luglio infatti, il post di Facebook con il quale lui stesso annunciava ad amici e follower di aver espugnato (metaforicamente) il castello di Fiumefreddo Bruzio, conseguendo un premio fotografico in occasione del Festival sulla Formazione e sull’Apprendimento continuo ambientato nella roccaforte dell’alto cosentino  “Maestri Fuori Classe”. Teatro del contendere, il concorso fotografico a questo correlato: “Relazioni - Il coraggio di mettersi in gioco”, che lo ha visto aggiudicarsi il premio previsto con la foto “I carbonari”, tratta dal reportage sui maestri carbonai di Serra San Bruno. L’opera, tra le più note e diffuse del maestro tropeano, lo ha portato sul podio ex aequo con i fotografi Barbara Cannizzaro e Davide Domenichelli.

 


Un approccio antropologico

Il contest ha permesso ai fotografi, professionisti e non, di raccontare attraverso le immagini l’importanza delle relazioni fra gli individui, in un mondo in cui la dimensione materiale sembra aver preso il sopravvento su quella emotiva e psicologica. Le fotografie selezionate hanno costituito il corpus della mostra fotografica legata alla competizione. Sono molti ormai i reportage di Caracciolo ai quali fanno seguito riconoscimenti, premi, menzioni d’onore. La forte valenza sociale e demoantropologica dei suoi lavori si basa sulla naturale capacità empatica di cogliere l’essenza visiva e la profondità del narrato, e sulla straordinaria propensione alla simbiosi col contesto in cui opera, specie se in ambiente agropastorale, arcaico, impervio.
Questo premio, ultimo solo in ordine di tempo tra quelli conseguiti nel 2019, gli tributa e ufficializza l’abilità istintiva di non interferire col soggetto ritratto. La totale assenza dell’io del narratore fa di Saverio non tanto un neorealista, quanto un antropologo naturale prestato alla fotografia. Studiosi eccellenti, non a caso, lo hanno accostato negli anni a De Seta. Lui, umilmente, si è sempre schernito. Pronto, zaino in spalla, a percorrere altri sentieri di montagna, a trascorrere altre nottate in compagnia dei suoi protagonisti, a fondersi con genti di pesi sperduti, immergersi in relitti di storia millenaria e rituali inaccessibili ai più, con l’occhio gentile dell’ospite discreto.

 

La macro dell'anima 

La forza che ne deriva, è quella di un’immagine a distanza ravvicinata. Quella di una macro scattata al cuore delle tradizioni. Molti professionisti di lungo corso, molti videomaker di rilevo internazionale, si sono dovuti arrendere laddove Saverio ha portato a casa il risultato. Tanti coloro che si sono tirati indietro, freddati dalla scontrosa ritrosia di personaggi che Caracciolo ha fotografato, seguito e raccontato guadagnandone fiducia prima, e disponibilità poi. Il segreto è nel sistema adottato. Ogni reportage si concretizza solo dopo l’applicazione del metodo fondante delle scienze antropologiche: la ricerca sul campo, vero e proprio rituale di iniziazione, quasi indispensabile alla formazione dello studioso, e della realizzazione del reportage.

Giornalista
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