Teatro calabrese in sofferenza, ma la pandemia c’entra poco con la crisi

VIDEO | Il lockdown del mondo dello spettacolo sta colpendo duramente gli operatori del settore ma nella nostra regione i problemi vengono da lontano

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di Alessia Principe
22 gennaio 2021
15:36

È un periodo difficile per tutte le categorie dei lavoratori, ma per lo spettacolo e, in particolare, per il teatro, che del pubblico in presenza ha bisogno per vivere e sopravvivere, è un dramma ancora più profondo. In Calabria sono molte le compagnie che operano sul territorio da anni, anche con grandi sforzi, e nessuno nasconde la propria preoccupazione perché se il virus, prima o poi ci lascerà andare, toccherà fare i conti con quello che è rimasto, se qualcosa rimarrà.

«Questo è un momento molto critico e ancora non si riesce a vedere la luce in fondo al tunnel. Stiamo approfittando di questi mesi di chiusura per buttare giù delle idee ma è difficile programmare quando l’orizzonte appare così sfumato, lontano» dice Dario De Luca della compagnia Scena Verticale.


La discussione sul teatro in Calabria è un discorso sospeso da molti anni. Ci si affida ai ristori che danno un sollievo temporaneo ma, come palliativi, non risolvono il vero problema che è e resta la programmazione a lungo termine.

«Ci sono stati interventi sulla legge 19, che regolamenta il teatro nella nostra regione, c’è stato un incremento di fondi per le compagnie di produzione, che per il 2021 andranno a favore di quelle finanziate, dopodiché è stato annunciato un bando sulla distribuzione teatrale che porta in dote una cifra rispettabile, 700mila euro, che secondo me presenta un po’ di criticità», dice Ernesto Orrico, attore e regista teatrale. «Certo è un modo per avviare un discorso sulla distribuzione anche se in questo momento di blocco totale la cosa fa un po’ sorridere». Ma il punto dolente resta sempre la visione d’insieme.

«In Calabria manca un investimento sul teatro pubblico. Faccio l’esempio del Rendano che oggi è gestito come un ufficio comunale; da anni non ha una programmazione organica se non per il buon fare degli imprenditori privati che hanno proposto rassegne nate e morte lì. Il problema è che questo teatro non fa produzione. In altre parti d’Italia, dove ci sono teatri pubblici, o di rilevante interesse culturale, ci sono i soldi e grazie a questo anche ora, in piena emergenza, si stanno promuovendo delle iniziative. In Toscana, ad esempio, il Metastasio ha assunto per un anno dieci attori, diverse maestranze, per la produzione di radiodrammi o la scrittura di nuovi testi, preparandosi per quando si potrà tornare in scena».

«Oggi come oggi il teatro pubblico possiamo quasi dire che non c’è quasi più – dice Max Mazzotta di Libero Teatro -. Il Rendano di Cosenza un tempo riceveva fondi pubblici e anche se, magari, non c’è mai stato un ragionamento maturo intorno a questo teatro, ci sono stati tempi in cui funzionava. In Calabria non c’è un’espressione ben precisa di cosa significhi direzione artistica, non si ha un’idea ben precisa di cosa vuol dire direzione amministrativa, significa fare produzione, dire la tua al livello nazionale, significa far lavorare attori che hanno fatto scuole che abbiamo messo in piedi noi stessi, come compagnie. Ma la domanda è: questo fermento chi lo gestisce? I teatri pubblici dovrebbero fare almeno due produzioni all’anno. Io ho auspicato per anni che ci fosse un cambio di direzione, ma non c’è mai stata la volontà politica di farlo». 

Forse questo momento di pandemia è quello giusto per riflettere su come investire per rilanciare il settore teatrale, per riaprire la questione del teatro pubblico e puntare sulle produzioni e l’apporto delle compagnie che adesso sono alla finestra e aspettano, non solo che passi la tempesta Covid, ma che arrivi un segnale di speranza per il futuro che ci aspetta.

 

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