Venghino signori venghino, guardate quanto sono brutti e cattivi i meridionali: una giornata al Museo Lombroso

VIDEO | Una delegazione guidata dal senatore lucano De Bonis e dal professore Gangemi ha visitato l’esposizione dell’Università di Torino, tra i mugugni della direzione: «Ci hanno seguiti come fossimo neonati, è inaudito». Ecco come è andata (ASCOLTA L'AUDIO)

di Alessia Principe
7 giugno 2021
18:12

Il caso Lombroso non è un caso chiuso. Non lo è di certo per la delegazione parlamentare guidata dal senatore lucano Saverio De Bonis, che questo pomeriggio, dopo un lungo viaggio in treno, assieme a intellettuali e artisti, come l’attore calabrese Roberto D’Alessandro, il docente e scrittore Giuseppe Gangemi, il fondatore del comitato “No Lombroso” Domenico Iannantuoni, Enrico Fratangelo sindaco di Castellino del Biferno e Amedeo Colacino ex sindaco di Motta Santa Lucia (il paese originario di Villella), ha voluto visitare il famigerato Museo torinese dedicato proprio a Lombroso.

Terreno ostile

«Abbiamo riscontrato ostilità da parte del direttore e della dirigente del Museo – ha detto il senatore – quando abbiamo fatto rilevare la falsità riportata in un’epigrafe che si trova al lato del cranio del Villella, originario di Motta Santa Lucia, in cui si è attesta che Lombroso sia stato presente all’autopsia, il che è un falso storico molto grave». Presa visione dei materiali, il senatore non intende cedere di un millimetro nella sua battaglia. «Valuteremo una possibile rivisitazione del Museo per rendere giustizia a quanti ritengono che diffonda idee razziste nei confronti del Mezzogiorno».


Il cacciatore d’ossa

La macabra figura di un uomo, Lombroso, considerato un funambolo al limite tra scienza e assurdità, che riuscì a convincere molti del suo tempo che lo spirito criminale nascesse da una fossetta, così la definì, nella sezione occipitale mediana del cranio, piuttosto sviluppata nelle popolazioni meridionali, continua, evidentemente, ad affascinare e a dividere. La teoria sul male frutto di una genetica territoriale, grazie a una ambigua celebrazione dell’errore, fa quasi credere che faccia ancora proseliti.

Torino, da dodici anni, ha riallestito il museo che porta il nome di Lombroso, per festeggiare i 110 anni dalla sua morte, aprendo al pubblico una specie di galleria degli orrori, dal sapore quasi mostruosamente vittoriano, che cavalca il fascino oscuro della chirurgia di ferri e viscere degli albori della Medicina. Ma non parliamo solo di un luogo che rievoca certi crimini, seppur efferati, non è un museo delle cere con la sagoma di Jack Lo Squartatore pronto a ospitare i selfie dei turisti, parliamo di una esposizione reale di cadaveri e scheletri che portano un marchio per l’eternità: ladro, assassino, falsario e molti di quei veri volti, maschere mortuarie, appartengono a uomini del Sud. A vederli, nelle loro facce lucidate con gli occhi sgranati e sofferenti, sembra di assistere al backstage di un film degli anni Settanta di Dario Argento. Invece è tutto vero. Quei volti hanno dei nomi, delle vite passate, e nessuna tomba.

A caccia del bias di conferma

In Calabria, Marco Ezechia Lombroso, per tutti Cesare, a caccia di una soluzione (poi sbagliata) sulla pellagra che per lui derivava da una muffa, ebbe l’illuminazione: se il crimine c’è, affonda qui, al Sud, perché al Sud gli uomini portano già nelle proprie ossa il tocco demoniaco che rievoca un istinto primordiale che non si è mai evoluto. Quindi cosa fare per catturare i malvagi se non sezionarli e trovare il germe del male e dimostrare che è tutta colpa loro? Successivamente Lombroso fu giudicato per quello che era, un ciarlatano, uno dei tanti che cercavano nei cadaveri stesi sulle lastre autoptiche bias di conferma delle proprie tesi. Morì credendo che gli spiriti gli aleggiassero intorno, dopo aver consegnato la sua sanità mentale a una medium, abile truffatrice. La sua testa oggi galleggia sotto spirito nei meandri del Museo, lontana, la sua sì, da occhi indiscreti.

Molto splatter, poca scienza

Quello di rispolverare scheletri e arnesi di tortura di uno studioso che non ha brillato se non nell’immaginario nero di certi racconti, non è una trovata da scrittore horror, non è un film di Carpenter (ma potrebbe esserlo), non è un racconto di Lovecraft (potrebbe esserlo), neppure una novella di Stephen King (eccome se potrebbe) è una realtà che viene ancora celebrata in Italia, a Torino e, seppur sussurrata, anche tenuta in considerazione.

L’ex direttore del museo, Silvano Montaldi, autore del libro dal titolo “Donne delinquenti, il genere e la nascita della criminologia”, è molto fiero delle sue esposizioni. Ne parla con grande entusiasmo nel video di presentazione che si trova nel sito internet del Museo al cui ingresso si legge: «L’allestimento vuole fornire al visitatore gli strumenti concettuali per comprendere come e perché questo personaggio così controverso formulò la teoria dell’atavismo criminale e quali furono gli errori di metodo scientifico che lo portarono a fondare una scienza poi risultata errata» che è un po’ come dire: avete presente quello che c’è qui dentro? Bene, è sbagliato.

Il professor Gangemi: «Italia divisa per "razze"»

«È una concezione della scienza che hanno a Torino, una teoria positivista secondo cui l’errore va parte della scienza e fin qui potrebbero avere anche ragione – spiega il professor Gangemi autore, tra gli altri, del libro “Stato criminale o uomo delinquente?” (Magenes) – solo che la scienza non è solo questa. Questo Museo, a mio avviso è costruito male. C’è questa esaltazione, non chiara, del concetto di razza che doveva dividere in due l’Italia: da una parte la razza nordica, ariana, e dall’altra una meridionale africana. Quindi da questo punto di vista io trovo aberrante il Museo come idea anche perché è stato impostato proprio come lo voleva Lombroso». Cosa avrebbero dovuto fare gli ideatori di questa struttura il professor Gangemi lo sa bene: «Aprire alla comunità scientifica un dibattito su Lombroso, cosa che non hanno mai fatto, si sono consultati solo fra “lombrosiani”. Tutte le volte che hanno invitato qualche ospite critico, diciamo così, non lo hanno mai ascoltato. Oggi, durante la visita, la direzione ci ha seguiti come fossimo dei neonati, io lo trovo un atteggiamento inaccettabile nei confronti di una delegazione parlamentare, forse si aspettavano chissà che reazioni da parte nostra, noi abbiamo semplicemente visitato e visionato. Ho anche fatto notare di un errore che si trova scritto su un cartello informativo che fa credere come Lombroso fosse stato presente all’autopsia di Villella, cosa che non è mai accaduta».

La celebrazione dell’errore (orrore)

Sulla vexata quaestio del cranio del brigante Villella, quello che secondo Lombroso portava il chiaro marchio della delinquenza, la Cassazione, nel 2019 appoggiò le motivazione dell'Appello che così affermavano: «Si può negare la validità di una teoria scientifica, ma non la sua esistenza e l’interesse generale a conoscerne gli aspetti», ma un conto è appoggiare la cancel culture un’altra è celebrare l’errore fino a farlo diventare, addirittura, una mezza verità.

Giornalista
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