Successo in sala

«Vivere San Francesco non significa baciarne le reliquie», a Paola la prima del docufilm sui “due Viaggi” del Patrono

VIDEO | Il correttore provinciale dell’ordine dei Minimi, padre Trebisonda, al termine della proiezione si è rivolto al pubblico, spronandolo a incarnare il messaggio «di quest’uomo, così importante per la nostra terra, e sforzarsi di viverlo ogni giorno»

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di Francesco Frangella
26 febbraio 2024
21:30

Sebbene si tratti di una ri-edizione del lavoro svolto in occasione del sesto centenario della nascita del Patrono di Calabria (1416-2016), il docufilm “I due Viaggi di Francesco” - proiettato, nella sua forma arricchita, in anteprima nazionale al cinema teatro Odeon di Paola - ha fatto registrare un deciso gradimento di pubblico, accorso a riempire i settori di galleria e platea (anche in virtù della gratuità dell’evento).

Preliminari e successivi alla proiezione, molto interessanti sono stati i confronti con quanti hanno partecipato attivamente alla realizzazione del documentario, che accompagnati nella conversazione da Angela Maria Schiavo, hanno spiegato le ragioni di ogni scelta che ha caratterizzato l’opera, principalmente vocata alla “riappropriazione” culturale, e religiosamente fedele, della figura del Santo.


«San Francesco è da riscoprire ogni giorno», ha sottolineato padre Francesco Trebisonda - provinciale dell’ordine dei Minimi - presente in prima fila e autore di un intervento molto applaudito quando in sala si sono riaccese le luci. «Vivere Francesco non significa seguire la processione del Quattro Maggio, non significa venire in Santuario a baciare le reliquie. Riappropriarsi di San Francesco significa, soprattutto, incarnare il messaggio di quest’Uomo, così importante per la nostra terra, e sforzarsi di viverlo ogni giorno».

Il messaggio in questione è stato sapientemente condensato nella mezz’ora di durata del film, raccontato da evocative immagini ad alta risoluzione, che accompagnate dalle musiche originali composte dal maestro Francesco Perri (del Conservatorio di Cosenza), e dall’inconfondibile stile narrativo di Carlo Lucarelli (celebrità che ha prestato gratuitamente il suo contributo), ripercorrono i passi del Patrono (interpretato, a seconda dalle età, da padre minimo Domenico Pudia e dall’attore Virginio Gallo) lungo il percorso che lo ha dapprima condotto in Francia (dove morirà nel 1507), e successivamente all’apice di un culto che, in ambito cattolico, allo stato attuale non ha pari nel mondo.

«L’impegno è stato costante - ha spiegato Andrea Signorelli - soprattutto per rispettare la storia. Ogni volta che si mette mano alla narrazione è fondamentale rimanere fedeli rispetto a ciò che è realmente accaduto. L’auspicio è che da questa opera possa poi nascere una produzione cinematografica vera e propria, per creare uno strumento capace di tramandare il messaggio di San Francesco soprattutto tra le nuove generazioni. Per questo abbiamo voluto coinvolgere anche giovani in ruoli importanti, come quello della consulenza artistica (nella fattispecie affidata al giovanissimo Simone Cauteruccio), proprio per far capire quanto il messaggio di San Francesco possa essere ancora attuale, tale da costituire una bussola per chi è alla ricerca di un orizzonte da seguire, che è quello della pace, del perdono, della carità, di tutto ciò che San Francesco ha rappresentato nei secoli e di cui ancora oggi è custode».

Della sfida che ha costituito il dover rappresentare artisticamente l’idea degli autori, hanno parlato il compositore delle musiche originali e l’attore che ha vestito i panni del Taumaturgo in età avanzata, i quali in proposito si sono detti molto stimolati dal confronto con un esempio tanto fulgido di cristianità.

«Da un punto di vista creativo - ha spiegato il maestro Francesco Perri - ho cercato di rendere musicalmente evidente il rapporto  tra l’umanità di San Francesco, il suo periodo storico e il mondo del sacro inteso soprattutto nel suo aspetto “minimo”, unificandoli nella colonna sonora».

Oltre settecento gli spettatori presenti, un pubblico composto trasversalmente da ogni generazione, rimasti incollati alla poltrona per l’intera durata dell’evento (arrivato a sfiorare l’ora e mezza complessiva).

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