Il turismo in Italia, da risorsa preziosa si sta trasformando in un problema strutturale. Con oltre 440 milioni di presenze registrate nel 2023 e un 2024 che ha segnato nuovi record, il Belpaese vive una nuova era di “overturismo”. Città d’arte congestionate, affitti fuori controllo, territori naturali sotto assedio. E ora in molti si chiedono: di turismo si vive, o si muore?

Venezia è diventata il simbolo di una trasformazione irreversibile. Ormai ci vivono meno di 50mila residenti, mentre ogni giorno ne arrivano il doppio come turisti. A nulla, finora, è servita la tassa di accesso introdotta nel 2024 e aumentata nel 2025 a 10 euro in alta stagione. I residenti protestano: “La città è diventata un parco giochi per ricchi”, dice uno degli attivisti del comitato “No Grandi Navi”. La laguna soffre: ogni giorno circa 100mila imbarcazioni solcano le acque, contribuendo all’erosione e all’inquinamento.

Firenze e Roma non sono messe meglio. Nel capoluogo toscano, l’espulsione degli abitanti dai centri storici è accelerata dagli affitti brevi. I negozi tradizionali chiudono, sostituiti da fast food e store di souvenir. A Napoli il Comune pensa a una tassa per i “day tripper”, turisti giornalieri che intasano le vie del centro senza lasciare nulla in cambio. La città si interroga: è questa la via della rinascita?

Secondo i dati più recenti, a Venezia quasi il 30% delle abitazioni del centro storico è ormai destinato agli affitti brevi. A Napoli, gli annunci su Airbnb sono passati da 1.300 nel 2015 a oltre 10.000 nel 2023. Il risultato è un’impennata dei canoni di locazione, che rende impossibile per molti cittadini restare nei propri quartieri. Un fenomeno che sta desertificando le città, rendendole scenografie vuote per il turismo mordi e fuggi.

Non solo città. Anche la natura soffre. Le Cinque Terre affrontano ogni estate l’invasione di milioni di turisti, con sentieri congestionati, vegetazione calpestata, problemi di gestione dei rifiuti e rischio incendi. I piccoli borghi diventano vetrine inaccessibili, con prezzi gonfiati e servizi collassati.

In Calabria, particolare è il caso di Tropea, la perla della Costa degli Dei: specialmente nel mese di agosto - fatte le dovute proporzioni e differenze, Tropea registra le stesse criticità di Venezia. Un comune di seimila anime con un'estensione di 3,5 chilometri quadrati e circa 7000 posti letto destinati ai viaggiatori, che si trova ad affrontare fino a 50mila presenze nell'arco di 24 ore.

In montagna, la situazione non è migliore. Le Dolomiti registrano flussi record durante tutto l’anno. Il traffico automobilistico è diventato insostenibile, e nei parchi nazionali come il Gran Paradiso e l’Abruzzo-Lazio-Molise si moltiplicano i casi di disturbo alla fauna, inquinamento da plastica e campeggi abusivi. L’erosione dei sentieri e l’abbandono dei rifiuti mettono a rischio ecosistemi già fragili.

Gli esperti parlano di «carico turistico non sostenibile». Secondo il Club Alpino Italiano, alcune aree delle Alpi dovrebbero adottare il numero chiuso per proteggere la biodiversità. Ma per ora mancano piani concreti. Nei giorni scorsi, cittadini e comitati hanno manifestato in diverse città italiane ed europee. A Venezia, il movimento “SET – Southern Europe against Overtourism” ha denunciato con forza gli effetti dell’industria turistica selvaggia. A Barcellona, a Lisbona, a Napoli, gli slogan sono gli stessi: «Non siamo attrazioni, siamo cittadini».

Allo stesso tempo, alcune realtà stanno sperimentando alternative. Il turismo lento, esperienziale e ambientale cerca spazio: cammini, borghi minori, parchi accessibili con mezzi pubblici. Festival come IT.A.CÀ promuovono una visione del viaggio più equa e rispettosa. Ma servono investimenti pubblici, regolamentazione e coraggio politico.

Il turismo genera in Italia oltre il 13% del PIL e rappresenta il 25% dei nuovi posti di lavoro creati negli ultimi tre anni. È dunque vitale, ma deve essere governato. Senza regole, senza limiti, rischia di distruggere ciò che lo rende attraente: la bellezza, l’autenticità, la qualità della vita.

La sfida è politica e culturale: redistribuire i flussi, regolamentare le piattaforme di affitto, tassare in modo proporzionato, investire nelle destinazioni secondarie e nella mobilità sostenibile. Il tempo stringe. Il rischio non è solo ambientale o sociale. È esistenziale: se l’Italia smette di essere un Paese da vivere per diventare solo un Paese da visitare, allora sì, di turismo si può anche morire.