Emergenza pandemia

Covid, i fondi destinati al personale sanitario bloccati dalle vertenze sindacali: restano solo le briciole?

A mostrarci una matassa ricca di azioni legali e ricorsi è stato il segretario "Anaao Assomed Calabria" Larussa. L'ennesima vicenda contorta dalla quale si rischia di non venirne fuori in tempi brevi e a pagare sono gli "eroi" della pandemia (ASCOLTA L'AUDIO)

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di Elisa Barresi
28 ottobre 2021
07:57

È più complessa di quanto si può immaginare la vicenda che si cela dietro la mancata distribuzione dei fondi covid agli eroi della pandemia. Il caso Calabria è l’unico, ancora una volta, in Italia. Unica regione a non aver distribuito i soldi al personale sanitario che è stato in prima linea per combattere il virus. Questo, come vi abbiamo raccontato, ha portato un gruppo di dipendenti del Gom ad agire per le vie legali. Ma in attesa che la giustizia faccia il suo corso abbiamo chiesto a Filippo Larussa, segretario Anaao Assomed Calabria, di chiarire i motivi che hanno portato a tale blocco.

Gli accordi

Ma andiamo con ordine. Per cercare di dirimere una matassa fatta di incontri sindacali, ricorsi e azioni legali è necessario ripercorrere gli accordi presi. A spiegare da cosa ha origine il blocco dei fondi covid in Calabria, è stato Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao-Assomed, raggiunto da Sanità Informazione. «Nelle singole realtà regionali – ha spiegato – si può immaginare una gradazione del rischio corso, per cui ci si è chiesti come dividere queste quote economiche tra dirigenza e comparto, a monte. A valle c’era da costruire una gradualità di accesso, in base al rischio di esposizione al contagio, e in genere le linee guida sono state queste, anche se alcuni hanno forzato la mano con assegnazioni indistinte. Altri hanno allargato la platea anche a categorie non direttamente impegnate nella pandemia, creando qualche problema nella differenza che è stata fatta tra specializzandi e specialisti.


In generale però, le assegnazioni sono state portate a termine dove il confronto con i sindacati è riuscito positivamente. Dalla Calabria – insiste Palermo – è arrivata una lunga serie di proteste, legate alle forzature che le sigle sindacali in particolare del comparto (Cgil, Cisl e Uil) hanno effettuato, non trovando una vera soluzione. Spesso sono state fatte delle suddivisioni pro capite, ovvero una distribuzione della stessa somma a categorie che hanno stipendi netti ben differenziati, per cui alla fine il pro capite ha avvantaggiato coloro che hanno uno stipendio medio più basso, che percentualmente hanno avuto una valorizzazione maggiore. Senza considerare che alcune categorie del comparto godono già di alcuni vantaggi di cui non godono i medici, come l’indennità di rischio biologico».

Questa prima spiegazione è utile per comprendere come questi fondi siano rimasti imbrigliati in una rete fatta di richieste e di accordi non raggiunti tra i sindacati. Ma è proprio Larussa a spiegarci come «non abbiamo mai messo in dubbio il rischio o le fasce ad esso collegate. Quello su cui abbiamo posto delle lamentele è un fattore di aliquote, meramente fiscale che a parità di importi determinano un netto in busta diverso». In Calabria, dopo i decreti governativi del 2020, sono arrivati prima 8 milioni con Cura Italia e poi poco più di 6 milioni con Salva Italia. Le singole Regioni avevano inoltre la possibilità di erogare fino al doppio della somma assegnata dallo Stato di “tasca loro”, come risorse aggiuntive regionali (RAR).

La ricostruzione

Larussa racconta a Sanità Informazione di sigle sindacali convocate in via informale per tre volte dal soggetto attuatore per l’emergenza Covid, per discutere i criteri con cui attribuire i primi 8 milioni arrivati. Durante questi appuntamenti si ipotizza un’assegnazione delle indennità divisa per fasce di rischio con differenti corrispettivi economici. 1.830 euro per i dipendenti che hanno svolto attività in reparti ad alto rischio, 883 euro rischio medio e 252 euro rischio basso. Somme però lorde, che andavano poi a penalizzare i professionisti con stipendio e aliquote più alti, tra cui i dirigenti medici. Inoltre, incluso nell’erogazione di indennità figurava anche il personale medico del 118 convenzionato, che da decreto non sarebbe dovuto rientrare in fondi riservati ai dipendenti del Ssn.

«Noi sindacati (Anaao, Aaroi e Cimo), come rappresentanti del 90% della dirigenza, avevamo già manifestato la nostra contrarietà a simili criteri – spiega Larussa -, ma, privati di un confronto su eventuali modifiche, il 6 luglio 2020 ci è stato chiesto di ratificare un accordo con il dipartimento. Abbandonammo quindi la riunione scoprendo solo dopo che i segretari della Triplice (Cgil, Cisl e Uil), rappresentanti al 10% per la dirigenza ma in maggioranza assoluta per il comparto, avevano invece firmato il documento». Ed è qui che hanno inizio i ricorsi al Tar e al Giudice del lavoro (alcuni ritenuti inammissibili) anche da parte della FIALS che, di fatto, hanno posto un freno e per Larussa il rischio è «avere contenziosi infiniti e alla fine arriveranno importi di molto inferiori a quelli attesi e in tempi infiniti. Mi auguro di sbagliarmi in questa previsione ma è facile che non se ne esca».

Importi già utilizzati

E se già questo quadro è abbastanza inquietante tanto da far temere il peggio, ad aggravare la situazione è un’evenienza che potrebbe peggiorare drasticamente la situazione. La lotta sindacale che mirava all’annullamento del DCA 34 ha fatto emergere un altro dato, ci conferma Larussa: «Dei 16 o 18 milioni previsti ne sono stati ripartiti alle aziende molti di meno, hanno pagato altre prestazioni, dispositivi di sicurezza o straordinari». E questo dato si evince già da altre aziende sanitarie calabresi che, ad esempio, si sono viste erogare dalla Cittadella circa 153 mila euro ma la cifra ritenuta congrua per soddisfare le esigenze (sulla scorta della convenzione regionale con le tre fasce di rischio) sarebbe di oltre 500 mila euro. Un dato che potrebbe essere replicato in tutte le aziende provocando uno scontento generale sui tanto attesi premi per gli eroi.  

«Nel decreto si specificava – spiega ancora il segretario Larussa – che l’erogazione definitiva era comunque in larga parte un rimborso, in quanto buona parte di quei 14 milioni dello Stato erano già stati spesi dalle aziende per attività Covid connesse. Tra cui anche la retribuzione di straordinari, l’acquisto di materiali come tamponi e mascherine e persino il “bonus rischio basso” agli amministrativi recatisi in sede durante la prima fase dell’emergenza». Per ora le tasche di tutti i protagonisti della pandemia in Calabria sono rimaste vuote. «Eroi buggerati, dimenticati, negletti – conclude Larussa – Quelle indennità che dovevano servire per trascorre delle ferie serene nel 2020, non sono riusciti a concedere questa possibilità nemmeno nel 2021 in Calabria e di questo passo non li vedremo neanche a Natale».

Giornalista
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