Covid, ristoranti in ginocchio: «Ci stanno portano alla fame. Gli aiuti non bastano»

VIDEO | Si allunga l'elenco dei ristoratori piegati dalla crisi economica. Per il titolare del locale catanzarese Aniello «dopo 35 anni di attività chiudere sarebbe un colpo al cuore. Fateci lavorare»

di Rossella  Galati
25 gennaio 2021
14:22

«Siamo arrivati ad una situazione insostenibile. Intorno a questo locale lavorano tre famiglie, la mia e quella dei miei fratelli. Vogliamo almeno vivere discretamente ma questo non ce lo concedono più». Continuano ad essere divorati dalle conseguenze economiche della pandemia i ristoranti, con locali vuoti e incassi che non bastano per far fronte alle spese. A Catanzaro un nuovo grido d’aiuto arriva dallo storico locale a gestione familiare Aniello, in città da 35 anni. Ora i tre fratelli titolari dell’attività, pur continuando a lavorare da asporto temono per il loro futuro.

Settore penalizzato

«Facciamo asporto, da martedì a giovedì – spiega il titolare Aniello Grampone  - ma è  solo una perdita di circa 200 euro al giorno tra legna, luce e altre spese». «Questa categoria è stata penalizzata più delle altre – per Teresa Grampone -. Nei centri commerciali o in altre attività si continua a lavorare talvolta senza rispettare il distanziamento,  mentre nei ristoranti dove invece c’è una maggiore sicurezza ci stanno portando alla fame».


«Gli aiuti non bastano»

Gli aiuti del governo  non bastano per tamponare i costi di gestione. «Nelle altre nazioni perché i ristoranti e i commercianti non si lamentano?  - si chiede Pasquale Grampone - Perché li hanno aiutati nel modo giusto. Io non voglio avere soldi in più per spenderli chissà dove, io voglio solo  portare da mangiare a casa mia. Il giorno vengo qui al locale giusto per farmi una passeggiata perché gente non se ne vede e per parlare solo di problemi». 

Rischio chiusura

E il rischio è di dover chiudere definitivamente. «A questo punto preferiamo chiudere perché non si può andare avanti così - conclude Aniello Grampone - e dopo 35 anni sarebbe un colpo al cuore. Noi chiediamo solo di lavorare, come facevamo prima».

Giornalista
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