Le nuove tariffe “reciproche” per 70 Paesi e i numeri deludenti sul mercato del lavoro Usa e sulla stretta dei consumi hanno trasformato il d-day trumpiano in una debacle per la finanza internazionale. Le Borse hanno bruciato 269 miliardi trascinate a fondo da quelle europee. Male Parigi-2,91%, Francoforte -2,65% e Milano -2,55% mentre Londra ha chiuso questo venerdì nero segnando -0,7%. Piazza Affari ha perduto 22 miliardi. Segnali negativi anche dai listini asiatici. Tokyo il peggiore con il 2,8% in meno. Male New York con il Nasdaq a -2,28% e S&P 500 a -1,71%. Le perdite a Wall Street superano i 150 miliardi di dollari.

Male le Borse. Effetti negativi su tutti i listini. New York ha bruciato 150 miliardi di dollari

L’effetto combinato di dazi e numeri sul lavoro in America si è trasformato in una miscela esplosiva. La crescita dell’occupazione è stata inferiore del 30% rispetto alle proiezioni dell’ufficio statistiche del dipartimento del Lavoro americano, scatenando la furia del presidente Usa che ha chiesto il licenziamento della responsabile del servizio.

Il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump ha chiesto alla Federal Reserve di tagliare i tassi di interesse (TWH media)

Altro fronte aperto, per Trump, il difficile e contrastatissimo rapporto con la Federal Reserve, oggetto di scontri ormai quotidiani. La Casa Bianca continua chiedere al presidente della Fed, Jerome Powell, di tagliare i tassi d’interesse. Quest’ultimo non intende cedere. Resterà tutto invariato fino a settembre. La tattica attendista di Powell mette fretta al presidente americano chiamato però a fare i conti con la crescita dell’inflazione e l’aumento dei prezzi al consumo. Se i dati sugli scambi commerciali sono favorevoli a Washington e la bilancia dei pagamenti sembra orientarsi nella direzione voluta da Trump, negli Stati la situazione economica potrebbe farsi complicata e riservare sorprese indesiderate all’Amministrazione nei prossimi mesi autunnali. Un segnale preoccupante è rappresentato dalla stretta sui consumi che prosegue tendenzialmente già dall’inizio dell’anno.

Le intese commerciali con 70 Paesi, compresa l'Unione europea, partiranno il 7 agosto

Nel resto del mondo c’è attesa per la fine delle ostilità commerciali. La data è il prossimo 7 agosto, giorno in cui dovrebbe diventare operativo l’ordine esecutivo sugli accordi concordati o meglio imposti dagli Usa ai partner. Le nuove tariffe doganali sulle merci spedite via nave saranno applicate a partire dal 5 ottobre. Protesta ufficialmente la Svizzera. Trump ha applicato ai beni elvetici una supertassa del 39%. Una mossa da ko per le imprese maturata, sostengono gli analisti, per fare pressione sul sistema bancario e sulle multinazionali farmaceutiche. Quello americano è il primo mercato d’esportazione per la Confederazione. Sul fronte asiatico i dazi al 10% a Taiwan sono un messaggio chiaro alla Cina. Taipei è il primo produttore mondiale di microchip, memorie informatiche e pannelli lcd.

La politica commerciale Usa ha ridisegnato la mappa degli scambi internazionali (TWH media)

Trump elargisce concessioni anche al Vietnam che ha contratti da decine di milioni di dollari con Apple e Nike e che vorrebbe strappare all’influenza cinese: dazi al 20% con la promessa di un allontanamento progressivo da Pechino. Il Paese del Mekong è uno snodo strategico del trasbordo di merci spedite dal colosso asiatico e dirette negli Usa. Al confine nordamericano nessun accordo con i vicini canadesi. Anche per loro supertassa al 35%. Al confine sud stesso trattamento è stato riservato ai vicini messicani con tasse doganali al 30%. Ottawa e Città del Messico sono due snodi importanti per il commercio delle automobili e di altri veicoli e macchinari meccanici. Una scelta di competizione diretta. Protesta anche l’India, che si ritrova dazi al 25%, ma avvia una serrata trattativa su import ed export soprattutto di prodotti alimentari e materie prime minerarie. La Gran Bretagna, il primo Paese a cercare e ad ottenere l’accordo con gli Usa subito dopo l’avvio della revisione degli accordi internazionali da parte di Washington è stata premiata con dazi al 10%. Con una tariffa aggiuntiva del 15% sulle prime 100mila automobili esportate negli Usa. Per l’acciaio e l’alluminio il Regno Unito avrà una tassa di favore al 25%, la metà di quanto pagheranno gli altri Paesi. Usa e Ue non hanno ancora definito alcune delle questioni più importanti. Le tariffe sull’acciaio, sull’alluminio e sul rame a cui è legata la questione del recupero e del trattamento dei materiali ferrosi di scarto. Le tariffe farmaceutiche, fino ad oggi non richieste. Gli accordi sulle limitazioni della vendita di componenti per le tecnologie dual-use (civile e militare). Ancora aperto, infine, il confronto Usa-Cina con quest’ultima che fino al 12 agosto pagherà il 34% di base con aumenti di un ulteriore 10% su beni selezionati. Con Pechino è in corso un duro confronto su terre rare e materie prime minerarie, automobili, forniture di semiconduttori e microchip e commercializzazione di prodotti farmaceutici.