Il rapporto Svimez

Economia, Nord e Sud allineati nel post Covid ma nel 2025 si riapre il divario. Preoccupano spopolamento e carenza di servizi

La crescita del Pil appare uniforme sul territorio nazionale, ma cresce la povertà assoluta in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Aumentano anche le migrazioni mentre calano le nascite, anche per effetto della mancanza di asili nido

3
di Redazione
5 dicembre 2023
10:41

Il Sud e il Nord ripartono allineati dopo la pandemia. È questa la principale novità messa in luce dal rapporto Svimez 2023, che mostra una dinamica uniforme del Pil a livello nazionale. Se infatti nel Mezzogiorno si è registrata una crescita del 10,7% – che compensa la perdita dell’8,5% del 2023 – nel Centro Nord la crescita dell’11% è seguita a una flessione più accentuata (-9,1%).

L’analisi prende in esame il biennio 2021-2022: «La novità di una ripartenza allineata tra Sud e Nord – evidenzia la Svimez nella nota riassuntiva del rapporto – sconta però l’eccezionalità del contesto post-Covid per il tenore straordinariamente espansivo delle politiche di bilancio e la diversa composizione settoriale della ripresa».


«I servizi – è spiegato – hanno contribuito per 71,1 punti nel Mezzogiorno e 63,6 nel Centro-Nord. Il contributo delle costruzioni si è spinto 7 punti oltre la media del Centro-Nord (18,9 contro 11,9) grazie all’impatto espansivo esercitato dal Superbonus 110%. Viceversa, il contributo dell’industria è stato limitato nel Mezzogiorno: 10 punti contro i 24,5 del Centro Nord, in virtù anche del consistente assottigliamento della base produttiva subìto tra il 2007 e il 2022: quasi –30% di valore aggiunto, contro una flessione del 5,2% nelle regioni centro-settentrionali».

Nel 2024 Nord e Sud allineati, nel 2025 si riapre il divario

Nel 2024 si stima che il Pil aumenti dello 0,7% a livello nazionale, per effetto del +0,7 del Centro-Nord e del +0,6 del Mezzogiorno. Al Sud la crescita dei consumi delle famiglie dovrebbe tornare in positivo, sia pure mantenendosi al di sotto della media del Centro-Nord (+0,8 contro +1,3%), grazie al recupero del reddito disponibile reso possibile dal rientro dell’inflazione. Gli investimenti dovrebbero crescere in maniera più pronunciata nel Mezzogiorno, accelerando rispetto al 2023 soprattutto grazie alla dinamica molto favorevole della componente in costruzioni (+9,7% contro +2,2% nel Centro-Nord).

Nel 2025, la crescita nazionale dovrebbe attestarsi sul +1,2%. La crescita del Pil meridionale è stimata 4 decimi di punto al di sotto del dato del Centro-Nord: +0,9% a fronte del +1,3.

L’inflazione

Il morso dell’inflazione nel 2022 si è fatto sentire soprattutto sul potere d’acquisto delle fasce più deboli: colpite le famiglie a basso reddito, maggiormente concentrate al Sud. «Nel 2022 l’inflazione ha eroso 2,9 punti del reddito disponibile delle famiglie meridionali, oltre il doppio del dato relativo al Centro-Nord (–1,2 punti)», riporta la Svimez.

L’inflazione ha inciso anche sui salari, con una contrazione che in Italia supera decisamente la media europea (-10,4% a fronte del -5,9%) che nel Mezzogiorno è ancora più marcata: -10,7%.

Segno positivo per l’occupazione, +188mila nel Mezzogiorno (+3,1%), +219 mila nel Centro-Nord (+1,3%). Ma, nonostante la ripresa, è forte la piaga del precariato: «Dalla seconda metà del 2021, è cresciuta l’occupazione più stabile, ma la vulnerabilità nel mercato del lavoro meridionale resta su livelli patologici. Quasi quattro lavoratori su dieci (22,9%) nel Mezzogiorno hanno un’occupazione a termine, contro il 14% nel Centro-Nord. Il 23% dei lavoratori a temine al Sud lo è da almeno cinque anni (l’8,4% nel Centro-Nord). Tra il 2020 e il 2022 è calata la quota involontaria sul totale dei contratti part time in tutto il Paese, ma il divario tra Mezzogiorno e Centro Nord resta ancora molto pronunciato: il 75,1% dei rapporti di lavoro part time al Sud sono involontari contro il 49,4% del resto del Paese».

La povertà

Nonostante la crescita dell’occupazione, nel 2022 la povertà assoluta è aumentata in tutto il Paese, raggiungendo livelli inediti. Nel 2022, sono 2,5 milioni le persone che vivono in famiglie in povertà assoluta al Sud: +250.000 in più rispetto al 2020 (–170.000 al Centro-Nord). La crescita della povertà tra gli occupati conferma che il lavoro, se precario e mal retribuito, non garantisce la fuoriuscita dal disagio sociale. Nel Mezzogiorno, la povertà assoluta tra le famiglie con persona di riferimento occupata è salita di 1,7 punti percentuali tra il 2020 e il 2022 (dal 7,6 al 9,3%). Un incremento si osserva tra le famiglie di operai e assimilati: +3,3 punti percentuali. Questi incrementi sono addirittura superiori a quello osservato per il totale delle famiglie in condizioni di povertà assoluta.

Il Pnrr dei Comuni: al Sud debole progettualità e partenza lavori ritardata

Il contributo del Pnrr alla crescita del prossimo biennio dipenderà comunque dalla sua pronta ed efficace attuazione. Sulla base dei dati dei progetti complessivi del sistema Regis (il sistema unico di rendicontazione del Pnrr), la Svimez ha monitorato lo stato di attuazione degli interventi che vedono i Comuni come soggetti attuatori. Il valore complessivo dei progetti presenti in Regis ammonta a 32 miliardi di euro, per il 45% allocati ai Comuni del Mezzogiorno. Per circa la metà dei progetti risultano avviate le procedure di affidamento; la quota di progetti messi a bando, tuttavia, si ferma al 31% al Mezzogiorno rispetto al 60% del Centro-Nord. Anche la capacità di procedere all’aggiudicazione presenta significative differenze territoriali: 67% al Mezzogiorno, 91% al Centro-Nord. Gli esiti del monitoraggio della Svimez confermano le criticità già evidenziata dall’associazione in ordine ai limiti di capacità amministrative delle amministrazioni locali meridionali e all’urgenza di rafforzarne gli organici e competenze.

Lo spopolamento del Sud

La diminuzione delle nascite e il progredire della speranza di vita hanno portato l’Italia tra i paesi europei più anziani. Le migrazioni interne e internazionali hanno ampliato gli squilibri demografici Sud-Nord. Se da un lato, le comunità immigrate si concentrano prevalentemente nel Settentrione “ringiovanendo” una popolazione sempre più anziana; dall’altro, il Mezzogiorno continua a perdere popolazione, soprattutto giovani qualificati.

Dal 2002 al 2021 hanno lasciato il Mezzogiorno oltre 2,5 milioni di persone, in prevalenza verso il Centro Nord (81%). Al netto dei rientri, il Mezzogiorno ha perso 1,1 milioni di residenti. Le migrazioni verso il 5 Centro Nord hanno interessato soprattutto i più giovani: tra il 2002 e il 2021 il Mezzogiorno ha subìto un deflusso netto di 808mila under 35, di cui 263 mila laureati. Al 2080 si stima una perdita di oltre 8 milioni di residenti nel Mezzogiorno, pari a poco meno dei due terzi del calo nazionale (-13 milioni). La popolazione del Sud, attualmente pari al 33,8% di quella italiana, si ridurrà ad appena il 25,8% nel 2080.

Il progressivo processo di invecchiamento del Paese non si arresterà nei prossimi decenni: tra il 2022 e il 2080, il Mezzogiorno dovrebbe perdere il 51% della popolazione più giovane (0-14 anni), pari a 1 milione e 276mila unità, contro il -19,5% del Centro-Nord (-955 mila). La popolazione in età da lavoro si ridurrà nel Mezzogiorno di oltre la metà (-6,6 milioni), nel Centro Nord di circa un quarto (-6,3 milioni di unità). Il Mezzogiorno diventerà quindi l’area più vecchia del Paese nel 2080, con un’età media di 51,9 anni rispetto ai 50,2 del Nord e ai 50,8 del Centro. Per invertire la tendenza pluridecennale al calo delle nascite occorre mettere in campo politiche attive di conciliazione dei tempi di vita e lavoro e rafforzare i servizi di welfare

Welfare, donne e lavoro

Il potenziamento dell'occupazione femminile nel Mezzogiorno è cruciale per contrastare il declino demografico. Le regioni meridionali presentano il tasso più basso di occupazione femminile in confronto all'Europa (72,5): Campania (31%), Puglia (32%) e Sicilia (31%). Le restanti regioni del Centro-Nord si avvicinano alla media europea, ma restano lontane dal benchmark dei Paesi scandinavi e della Germania (78,6). La carenza di servizi di conciliazione tra lavoro e famiglia, specialmente nella prima infanzia, penalizza le donne nel mondo lavorativo. Una donna single nel Mezzogiorno ha un tasso di occupazione del 52,3%, nel caso di donna con figli di età compresa tra i 6 e i 17 anni scende al 41,5% per poi crollare al 37,8% per le madri con figli fino a 5 anni (65,1% al Centro-Nord), la metà rispetto ai padri (82,1%).

Il Sud affronta gravi ritardi nell'offerta di servizi per la prima infanzia, evidenziati dai dati sui posti nido autorizzati per 100 bambini tra 0-2 anni nel 2020: Campania (6,5), Sicilia (8,2), Calabria (9) e Molise (9,3). Queste sono le regioni meridionali più distanti dall’obiettivo del Lep dei posti autorizzati da raggiungere entro il 2027 (33%). Gli investimenti del Pnrr mirano a colmare queste disparità, ma non sono stati programmati a partire da una mappatura territoriale dei fabbisogni di investimento, bensì attraverso procedure a bando, con una capacità di risposta fortemente influenzata dalle capacità amministrative degli enti locali.

I dati presentati nel Rapporto riguardo lo stato di attuazione del Piano Asili nido fanno emergere diverse criticità proprio sotto questo profilo: sono stati assegnati ai Comuni 3,4 miliardi; 1,7 miliardi al Sud, di cui solo il 36% messe a gara (51% nel Centro Nord). La recente riduzione degli obiettivi del Pnrr per i nuovi posti asili nido (da 248mila a 150mila) solleva preoccupazioni sulla possibilità di raggiungere il target europeo.

La Zes unica

Nel contesto della Zona Economica Sud unica, si anticipa la sostituzione delle attuali otto Zes dal 1° gennaio 2024. L'obiettivo è estendere benefici fiscali e semplificazioni burocratiche a tutto il Mezzogiorno come forma di fiscalità compensativa. Tuttavia, il successo della Zes unica dipende dalla semplificazione amministrativa, dalla capacità di integrarla nelle politiche nazionali e regionali, e dall'identificazione di settori prioritari. La Zes Unica presenta quindi indubbi vantaggi potenziali, ma rischia di produrre effetti limitati se non sarà pienamente integrata nelle politiche industriali nazionali e regionali e nelle più ampie strategie di sviluppo del Paese.

Saranno in particolare due aspetti a decretare il successo o il fallimento della Zes unica: il primo riguarda la capacità della nuova governance di assicurare la semplificazione amministrativa alla base del disegno originario, cioè della Struttura di missione nazionale di svolgere per l’intero territorio meridionale la funzione di sportello unico delle autorizzazioni. Una funzione che, considerato il numero elevato di progetti di investimento che si prevedono, richiederà inevitabilmente un rapporto cooperativo con le amministrazioni locali. Il secondo dipende dalla capacità di recuperarne la finalità di strumento di politica industriale e infrastrutturale dovendo, quindi, valorizzare le specificità produttive, economiche e sociali dei territori. Non meno importante sarà l’individuazione dei settori prioritari nei quali favorire l’attrazione dei grandi investimenti necessari ad accrescere la competitività del sistema economico meridionale. Senza tralasciare la realizzazione di legami funzionali e strategici con le principali infrastrutture, specialmente portuali, del Mezzogiorno.

 

GUARDA I NOSTRI LIVE STREAM
Guarda lo streaming live del nostro canale all news Guarda lo streaming di LaC Tv Ascola LaC Radio
top