«L’Italia non ha mai vinto grazie al fisico, ma grazie al talento». Parte da questa considerazione Marco Pugliese, presidente di OpenIndustria, analista economico e giornalista, in un’analisi che attraversa sport ed economia per raccontare un tratto distintivo del Paese: la capacità di trasformare creatività e tecnica in vantaggio competitivo.

Secondo Pugliese, «il nostro vantaggio competitivo storico nasce da un mix unico di creatività, rifinitura e cultura tecnica: un DNA produttivo che nessun algoritmo o modello straniero potrà mai replicare». Una forza che continua a distinguere l’Italia nel panorama europeo, anche in un contesto globale dominato dalla tecnologia e dalle grandi economie di scala.

Nel 2024 l’industria manifatturiera italiana ha generato oltre 1.200 miliardi di euro di valore aggiunto, confermandosi la seconda potenza industriale d’Europa dopo la Germania e davanti alla Francia. Nella meccanica di precisione, nell’automazione e nei beni di lusso, il Paese mantiene quote di mercato superiori al 20% dell’export europeo, con punte del 40% nei macchinari specializzati.

Un primato costruito non sulla quantità, ma sulla qualità: «Economie di talento», le definisce Pugliese. Ogni lavoratore manifatturiero italiano produce in media oltre 90.000 euro di valore all’anno, con picchi di 130.000 euro nei distretti tecnologicamente più avanzati del Nord. Tutto questo, sottolinea l’autore, nonostante un contesto difficile, segnato da costi energetici tra i più alti d’Europa (116 €/MWh contro i 74 tedeschi) e da una burocrazia che pesa per oltre 4 punti di PIL.

Il cuore del modello italiano resta la capacità di coniugare arte e ingegneria, design e manifattura, una combinazione che ricorda lo stile del nostro calcio: «Vinciamo giocando di testa, non di muscoli: costruendo il gioco, leggendo gli spazi, rifinendo». È la stessa mentalità che anima i distretti di Brescia, Modena, Vicenza o Bolzano, dove acciaio, ceramica ed elettronica diventano eccellenze globali.

Oggi, osserva Pugliese, l’Italia deve tornare a credere nel proprio DNA industriale: «Innovare non significa copiare, ma reinterpretare». Dai laboratori alle fabbriche intelligenti, il talento resta «la nostra infrastruttura invisibile», quella che ha permesso di mantenere accesa la produzione anche nei momenti più difficili, generando oltre 500 miliardi di export nel 2024.

Da qui l’appello per una nuova politica industriale che investa sul patrimonio umano e formativo: competenze tecniche, intelligenza artificiale applicata, manifattura additiva e design sostenibile devono essere leve di continuità culturale, non mode passeggere.

«L’Italia – conclude Pugliese su LinkedIn – non deve inseguire la potenza: deve continuare a perfezionarla. Il futuro dell’industria italiana non si costruisce imitando, ma rifinendo. È lì, nella capacità di fare meglio ciò che gli altri fanno più grande, che si misura il genio italiano».