Scenari di mercato

L’Italia nel 2022 ha esportato quasi 8 miliardi di euro di vino, il prezzo medio al litro è meno della metà rispetto alla Francia

Crescita continua dal 2010 per le esportazioni vinicole del Belpaese: +8,69% sul 2021. I frizzanti, un mondo tutto da scoprire, pesano l’8% in volume: Germania, Usa e Messico i mercati di riferimento primari

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di Massimo Tigani Sava
20 gennaio 2024
15:38
Un’immagine da una delle scorse edizioni del Vinitaly
Un’immagine da una delle scorse edizioni del Vinitaly

Quanto, dove e che cosa esporta l’Italia del vino? Precisiamo subito che con una congiuntura internazionale resa difficile dai tanti conflitti aperti (Ucraina, Gaza, Golfo di Suez…) i commerci mondiali sono investiti di continuo da tsunami potenti. Saltano di mese in mese riferimenti statistici e posizioni più o meno consolidate. Nella quarta puntata di approfondimento sull’economia vitivinicola, nazionale e internazionale, utilizzando i dati pubblicati dalla XIV edizione dell’Annuario statistico del Corriere Vinicolo, in partnership con l’Osservatorio del Vino Uiv (Unione Italiana Vini) e in collaborazione con l’Ais (Associazione Italiana Sommelier), ed altre fonti, ci occuperemo del Belpaese per capire, con cifre aggiornate al 2022, come si muova il mercato del vino italiano all’estero. Queste analisi sono utili, anche a livello locale o per le singole aziende, in quanto consentono di orientarsi e di capire quali siano le frontiere migliori da esplorare o sulle quali insistere con azioni mirate di penetrazione.

L'export del vino sul totale del Made in Italy

Partiamo da un quadro generale: l’export italiano di beni nel 2022 (fonte Sace) si è attestato in valore a 625 miliardi di euro, con una previsione positiva per il 2023: superamento dei 660 miliardi di euro. L’incremento 2022 sul 2021 è stato del 20,0%. Sul totale del Made in Italy che raggiunge i cinque continenti, nel 2022 (fonte: elaborazione Sace su dati Istat e Oxford Economics) il peso dell’agroalimentare è stato del 9,8% (61,25 miliardi di euro). Di questi 61,25 miliardi, ben 7,79 (fonte: Corriere Vinicolo) sono stati garantiti dal solo vino (il 12,72% del totale), con un incremento dell’8,69% sul 2021. Quando si guarda all’arte di Bacco, quindi, sia chiaro che si sta parlando di un asset importante del mondo produttivo nazionale. La crescita dell’export italiano del vino, in valore, dal 2010 al 2022, è stata costante. Si è passati dai 3,89 mld del 2010 ai 7,79 del 2022. Relativamente ai volumi, invece, i 2,14 miliardi di litri esportati nel 2022 non sono molto distanti dai 2,12 del 2010. Negli ultimi dodici anni la punta massima di esportazioni di vino in volume si è avuta nel 2011: 2,29 mld di litri.


Che tipologia di vino esporta l'Italia?

Considerando i volumi, cioè i litri esportati nel 2022, il peso dei vini fermi (cioè non frizzanti e non bollicine) è stato del 48%, degli spumanti 24%, dei frizzanti 8%, degli sfusi 17%. Se invece guardiamo al valore in euro, le tipologie si sono distribuite così: vini fermi (60%), spumanti (28%), frizzanti (6%). I prezzi medi di vendita all’estero dei vini italiani sono stati i seguenti: spumanti (4,19 euro al litro), frizzanti (2,67), vini fermi (4,52), sfuso (0,82), passiti e liquorosi (10,40). Prezzo medio al litro: 3,64 euro. Il più grande competitor dell’Italia nel mondo della vitivinicoltura è la Francia che nel 2022 (fonte Wine Meridian su dati Fédération des Exportateurs de Vins & Spiritueux) ha consolidato i 17,2 mld di euro (più del doppio del Belpaese) di export di vini e distillati, segnando un +10,8% in valore sul 2021. Sia Champagne che Cognac (il distillato francese più richiesto nel pianeta) sono aumentati di molto in valore (rispettivamente: +20%; +9%). La Francia, che di solo vino ha esportato, nel 2022, 12,2 miliardi di euro, lo ha fatto a un prezzo medio di 8,8 euro al litro (fonte I Grandi Vini su dati Observatorio español del mercado del vino OEMV e Istat,), a fronte dei 3,6 dell’Italia. Quale sarà, quindi, la strada giusta da percorrere per l’immediato futuro? Puntare sulle quantità o sulla qualità eccelsa e distintiva da vendere con una remunerazione più alta? Ragionamenti che, ad esempio, anche una piccola regione vitivinicola qual è la Calabria dovrebbe approfondire con straordinaria attenzione.

Export dei vini frizzanti, un mondo non a tutti conosciuto

In questa quarta puntata dedicata all’export, ci occuperemo, nel dettaglio, dei vini frizzanti, rinviando alle prossime tappe di questo viaggio l’analisi sui vini fermi (rossi, bianchi, rosati) e sugli spumanti. Il vino frizzante italiano che quasi tutti conoscono è il Lambrusco di Sorbara Doc, un marcatore identitario dell’Emilia Romagna vitivinicola e compagno affidabile di degustazioni di pregiati salumi e formaggi. Sorbara è un comune della provincia di Modena, che si estende tra i fiumi Secchia e Panaro. I colori e i profumi del Lambrusco prodotto in quel territorio (9 i comuni interessati) sono inconfondibili! Il Lambrusco viene prodotto da omonimo vitigno a bacca nera che presenta diverse varietà (Lambrusco di Sorbara, Lambrusco Salamino, Lambrusco Marani, Lambrusco Maestri, ecc.) assieme a qualche vitigno complementare quale l’Ancellotta, in quattro province del Nord Italia: Modena, Reggio Emilia, Parma e la lombarda Mantova. Le doc riconosciute sono numerose: oltre a quella già menzionata di Sorbara, altre modenesi quale il Lambrusco Salamino di Santa Croce, o reggiane come il Lambrusco Grasparossa Colli di Scandiano e Canossa, nonché il Lambrusco Mantovano. Un mondo complesso e articolato, ricco di storia, e rispetto al quale in questa sede ci siamo limitati solo a qualche accenno che ci è servito a introdurre il tema dell’export dei vini frizzanti italiani. A proposito: la differenza prevalente fra vini frizzanti e spumanti basa sulla diversa quantità di anidride carbonica presente: tra 1 e 2,5 bar per i primi, e oltre 3,5 per i secondi. Come dire: questione di intensità delle bollicine!

Nel 2022 (fonte: Corriere Vinicolo) l’Italia ha esportato 457 milioni di euro di vini frizzanti (il 6% circa del totale nazionale in valore), con un balzo avanti del 5,69% rispetto al 2021. Dal 2010 l’apprezzamento dei Paesi esteri per i vini frizzanti è cresciuto quasi ininterrottamente (289 i mln di euro esportati nel 2010). Risulta essere ritornato ai valori di dodici anni fa, invece, il dato relativo all’export dei frizzanti Made in Italy in volume: 171 milioni di litri (8% del totale nazionale dell’export di vini). Nel 2021 si era registrata una punta di 186 mln di litri, e di 184 nel 2020. I primi tre mercati di riferimento per i frizzanti del Belpaese sono, in ordine decrescente, Germania, Usa e Messico. I tedeschi assorbono circa 40 mln di litri sul totale di 171 (peso del 24%), gli Stati Uniti poco meno di 30 (16%), il Messico circa 10 mln. Mercati secondari, cioè sotto i 10 mln di litri, sono Repubblica Ceca (5% del totale), Spagna, Francia, Austria e Russia. Se dai volumi esportati si passa al valore in euro, la classifica dei mercati esteri più fiorenti non cambia, mentre ci sono leggeri scostamenti sul peso percentuale: gli Usa passano al 19%. Anche i vini frizzanti possono essere distinti nelle categorie Dop, Igp e comuni. Per quelli Dop (da ora in avanti parliamo di volumi in litri) la Germania assorbe la quota del 38%, mentre gli Usa solo il 6%, superati dalla Repubblica Ceca (9%), e con Regno Unito e Paesi Bassi entrambi al 5%. Per gli Igp sono gli Usa in testa (25%), seguiti da Messico (13%), Spagna (9%), Russia (8%), Germania (8%). Per i comuni: Germania (29%), leader come nei Dop, e poi Usa (16%), Austria (13%), Francia (10%), Giappone (4%). Sempre in riferimento al volume in litri, tutto l’export dei frizzanti è garantito dai Dop per il 39%, dagli Igp per il 41%, dai comuni per il 20%.

Nella prima puntata ci siamo soffermati sui numeri nazionali e internazionali del vino, tra produzione e consumi, ricordando come nel 2022 l’Italia sia risultato il primo produttore al mondo con 49,84 milioni di ettolitri, seguita da Francia (44,35 mln) e Spagna (28,50 mln). Questi tre Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (Francia e Spagna hanno anche una sponda atlantica) sono i leader incontrastati nell’economia di Bacco, tallonati, anche se ancora a notevole distanza, da Stati Uniti, Australia, Cile, Argentina, Sudafrica, Germania e Portogallo. Relativamente ai consumi, fatta base 100, il 75% è dato dai vini fermi e il 10% da spumanti e Champagne. Negli utili venti anni, dal 2003, è stata forte la crescita dei consumi di bollicine, vini rosati e bianchi, mentre è rimasta stabile, anche se ancora prevalente, quella dei rossi. La seconda puntata, invece, ha focalizzato l’attenzione sull’import ed export mondiale. Gli Usa si confermano i maggiori importatori di spumanti e vini imbottigliati, seguiti dal Regno Unito. Per i vini sfusi la testa della classifica è occupata dalla Germania. Per l’export di spumanti in testa l’Italia, seguita da Francia e Spagna. Ancora al primo posto il Belpaese per quanto concerne l’export di vini imbottigliati, tallonata ancora una volta da Francia e Spagna. L’export di vino sfuso, invece, nel 2022 ha consegnato la medaglia d’oro alla Spagna, con alle spalle Australia e Italia. Qual è la situazione produttiva in Italia? Il Belpaese punta molto sui vini Dop: nel 2002 hanno raggiunto il 48% della produzione totale. La regione leader per quantità assolute è il Veneto, seguito dalla Puglia e dall’Emilia Romagna. Per superfici vitate, Spagna e Francia sono in testa alla classifica Ue e l’Italia è terza, con in vetta il Veneto e poi la Sicilia e la Puglia. La Provincia autonoma di Bolzano e il Piemonte scommettono tutto sulle Denominazioni di origine protetta, con percentuali altissime sulla produzione complessiva regionale di vini. Le realtà del Sud a maggiore vocazione vitivinicola sono Puglia, Sicilia e Abruzzo. Calabria fanalino di coda, contribuendo con lo 0,23% al volume di Dop nazionale.

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