I numeri del fenomeno

Milioni di italiani e meridionali all’estero tra sacrifici e (grandi) opportunità: oggi sono l’orgoglio del Paese

C'è un'altra Italia che vive nei cinque continenti: i numeri dell'Istat relativi a oltre due secoli. Il progetto LaC International voluto dall'editore Maduli

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di Massimo Tigani Sava
3 gennaio 2024
15:21

C'è un'altra Italia sparsa nei cinque continenti e generata dal fenomeno storico, ma anche attuale, dell'emigrazione. Un vero e proprio esodo, tra Ottocento e Novecento, purtroppo ridiventato attuale ai giorni nostri anche se in misura più contenuta, ha caratterizzato le dinamiche demografiche nazionali. L'Istat, in un apposito studio che parte dall'Unità d'Italia (1861), calcola che l'emigrazione totale dall'Italia tra il 1869 e il 2021, al netto dei rimpatri, è stimabile approssimativamente, a seconda dei metodi di calcolo utilizzati (anagrafe o passaporti rilasciati), tra gli 8,5 e i 16 milioni. Lo stesso Istituto di statistica rammenta che la grande maggioranza dei discendenti degli emigrati italiani (seconda, terza generazione...) ha preso la cittadinanza dei Paesi ospitanti. Nei soli Stati Uniti, ad esempio, l'apposito Ufficio statistico ha valutato come nel 2021 vi erano quasi 16 milioni di residenti con ascendenza italiana. A tal proposito l'Istat precisa: stime anche più elevate si hanno per i discendenti dell'emigrazione italiana in Argentina e, soprattutto, in Brasile. Tra Usa, Argentina e Brasile siamo giunti, dall'Ottocento ai giorni nostri, ad alcune decine di milioni di Italiani che vivono fuori del Belpaese. Si consideri che a questi valori devono essere aggiunti quelli altrettanto consistenti dell'Australia, dell'Europa centrale e settentrionale (in particolare Svizzera, Germania, Belgio, Francia...).

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Tra il 1901 e il 1920 le destinazioni principali della “fuga” dall'Italia in cerca di lavoro e di speranza sono state verso i Paesi extraeuropei (Stati Uniti d'America, Argentina, Brasile...). Tra il 1950 e il 1970 sono state privilegiate, invece, le nazioni del Nord Europa (Svizzera, Belgio, Germania). Gli emigrati italiani offrivano manodopera a basso costo sia all'agricoltura del Sud America e alle metropoli del Nord America, sia alle industrie pesanti e alle miniere (come quelle di carbone del Belgio) del Nord Europa. Nel tremendo disastro di Marcinelle (Belgio), che ancora si ricorda anche per i suoi contenuti umani e simbolici, l'incendio in una miniera di carbone divampato l'8 agosto 1956 provocò la morte di 262 lavoratori, di cui 136 immigrati italiani. Il sito della tragedia (Bois du Cazier di Marcinelle) è diventato addirittura patrimonio storico dell'Unesco. Tra i morti numerosi erano calabresi, originari di Reggio Calabria, Cosenza, San Giovanni in Fiore, Caccuri, Cerenzia, Castelsilano, Santa Severina, Rocca Bernarda, Savelli, Scandale, dell'area silana e del Marchesato di Crotone. Ho avuto l'occasione, nel corso della mia lunga esperienza professionale di giornalista, di visitare a Genk, in Belgio, la comunità calabrese che nel proprio “dna” conservava l'incubo delle miniere di carbone e delle condizioni di vita relative. Ancora più insanguinato il disastro minerario di Monongah, nella Virginia occidentale (Usa), quando il 6 dicembre 1907 si verificò una dirompente esplosione in una miniera di carbone: tra le centinaia di vittime innocenti anche 171 emigrati italiani, di cui una quarantina calabresi (la gran parte originari di San Giovanni in Fiore, ed altri provenienti dal Cosentino, dal Crotonese e dal Catanzarese). Condizioni di lavoro senza i necessari livelli di sicurezza e sfruttamento della manodopera erano all'origine di “incidenti” di questo tipo che forse troppo spesso sono stati semi-cancellati dalla memoria collettiva. Si immagini, al di là delle perdite, la sofferenza atroce di moglie, madri, bambini rimasti orfani!


Nel 150° anniversario dell'Unità d'Italia, il Rapporto Migrantes Italiani nel Mondo 2011 ha sottolineato che, proprio a partire dal 1861 sono stati circa 30 milioni i connazionali emigrati all'estero e che gli oriundi sono nel complesso tra 60 e 80 milioni. Un'altra Italia fuori del Belpaese, dicevamo! Leggiamolo qualche rigo relativo alla fine dell'Ottocento: «Il passaggio in nave arrivò a costare 100 giornate lavorative - sottolinea il Rapporto - e spesso erano gli stessi agenti a prestare i soldi del viaggio a tassi esosi, così come avviene nelle migrazioni attuali.

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I subagenti accompagnavano gli emigrati fino alle navi, ricevendo una maggiorazione per questa loro disponibilità. Se la destinazione era un paese agricolo, i migranti venivano accreditati come agricoltori, mestiere che, peraltro, non era possibile improvvisare, come si accorgevano i fazenderos oltreoceano una volta che la manodopera giungeva da loro per lavorare. Il periodo di attesa dell’imbarco, durante il quale gli emigranti dovevano mangiare, dormire e nutrirsi, costituiva un lucroso affare per le città portuali, gremite di sfruttatori di vario genere». «Se l’attesa nei porti era problematica, ancora più difficili - citiamo sempre testualmente dal Rapporto Migrantes - erano le condizioni di viaggio in stive maleodoranti e pagliericci putrefatti, aspetti sui quali aveva taciuto la propaganda degli agenti e dei subagenti, caratterizzata da toni entusiastici: navi bellissime, mare calmo, pulizia degli ambienti, gente contenta e, in prospettiva, terreni fertili e governi accoglienti e in attesa degli emigranti. In realtà le condizioni di viaggio erano ben diverse. Durante il passaggio, i viveri e l’acqua potabile erano razionati e per la pulizia personale si doveva ricorrere all’acqua del mare. Nelle navi la gente veniva stipata all’inverosimile e la capienza veniva usualmente raddoppiata. Molti morivano durante la traversata e altri una volta arrivati sul posto, a causa degli stenti. Nelle navi si trovavano bambini senza genitori o con genitori di comodo; questi ultimi si accreditavano come tali solo per la durata della traversata, abbandonando poi i minori a un triste destino». Le spaventose scene dell'oggi, che riempiono di cadaveri le acque e le coste del Mediterraneo, per tante decine d'anni hanno avuto per protagoniste le genti del Sud, accanto ovviamente a quelle dello stesso Nord Italia, Veneto in primis.

Le parole-chiave dell'emigrazione italiana, meridionale e calabrese in circa due secoli sono quasi tutte dolorose: lacrime, disagi, malattie, sacrifici indicibili, fame, sofferenze, inadeguatezza di assistenza sanitaria e di previdenza, salari insufficienti, orari di lavoro estenuanti, degrado sociale. Certo, lentamente, passo dopo passo, generazione dopo generazione, e in relazione anche al rafforzamento generale dei diritti impostosi in quasi tutti i Paesi destinatari di flussi migratori italiani, si sono registrati grandi salti di qualità. Da diversi decenni l'emigrazione italiana è diventata parte attiva e molto considerata delle comunità straniere che l'hanno accolta, con esempi numerosissimi di successi imprenditoriali, di scalata alle più alte cariche istituzionali, di prestigio, di contributo decisivo al progresso della cultura, delle arti, delle scienze, dell'economia. Gli Italiani all'estero sono oggi, nella maggioranza dei casi, l'orgoglio dell'Italia.

Un terzo flusso migratorio dal Belpaese verso l'estero è più recente, ha numeri inferiori rispetto a quelli precedenti, è stato conseguenza della violenta crisi economia esplosa nel primo decennio del XXI secolo e contiene nel proprio ambito anche la cosiddetta “fuga dei cervelli”, cioè allontanamento dal proprio Paese di giovani molto istruiti. L'Istat segnala una ripresa discreta dell'emigrazione negli anni più recenti: tra il 2005 e il 2020, pure se ampiamente compensati dalle registrazioni in anagrafe di cittadini stranieri, gli espatri netti di cittadini italiani sono stati oltre 620 mila. Nel biennio 2019-2020 circa il 70% dei cittadini italiani trasferitisi all'estero aveva un'età compresa tra i 18 e i 39 anni, con una leggera prevalenza di uomini e un'incidenza elevata di laureati (27%).

I cittadini italiani iscritti all’anagrafe dei residenti all’estero (AIRE) a dicembre 2021 - fotografa l'Istat - sono 5,8 milioni, dei quali il 55% in Europa, quasi un terzo in America Latina e poco meno dell’8% negli Stati Uniti e in Canada. Tra i 220 paesi in cui sono residenti, oltre metà dei nostri connazionali è concentrata in Argentina, Germania, Svizzera, Brasile, Francia, Regno Unito e Usa. Consistente la presenza anche in Belgio, Spagna, Australia, Canada, Uruguay, Venezuela. La popolazione degli iscritti all’AIRE - fa presente l'Istat nello studio già menzionato - comprende i nuovi espatriati che hanno deciso di regolarizzare la propria posizione anagrafica e l’emigrazione più antica (in alcuni casi discendenti di emigrati che hanno però mantenuto la cittadinanza). Tenuto conto di queste caratteristiche, si può osservare che l’origine geografica degli iscritti AIRE è nel 47% dei casi dal Mezzogiorno, che ha una popolazione pari a un terzo di quella nazionale. In particolare, in nove province del Mezzogiorno e a Belluno in Veneto l’incidenza dei cittadini residenti all’estero iscritti all’AIRE approssima o supera il 30% del totale dei residenti sul territorio. Nella classifica delle province d'origine di cittadini italiani residenti all'estero e iscritti all'AIRE, stilata al 31 dicembre 2021, le prime tre sono Enna, Agrigento e Isernia, al quarto posto Vibo Valentia, al decimo Cosenza, al 13mo Catanzaro, al 15mo Reggio Calabria, al 17mo Crotone.

A quest'enorme bacino di risorse umane si rivolgerà il nuovo progetto del Network LaC, con LaC International, fermamente voluto dall'editore Domenico Maduli e rivolto in particolare a Usa, Canada e Australia. «Una grande e prospera comunità di Italiani residenti all'estero - ha commentato lo stesso leader del Gruppo, Maduli - potrà essere sempre aggiornata su quanto avviene in Calabria e nel resto d'Italia. In questo contesto realizzeremo, a partire dai primi mesi del 2024, specifiche azioni di crescita e di sviluppo».

L'emigrazione di massa che per due secoli ha lastricato di sofferenza la vita di milioni di Italiani può significare, anche grazie alle nuove tecnologie e ai benefici della comunicazione integrata, un'enorme opportunità per tutti, per quanti sono rimasti e per quanti sono andati via, nonché uno stimolo decisivo per lo sviluppo delle imprese e del Made in Italy.

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