Francesco Stella certo non lo immaginava. Nella notte in cui i bicchieri si riempiono di buoni auspici per l’anno che sta iniziando, proprio non pensava che due giorni dopo il suo nome sarebbe finito sui giornali, in tv, in ogni angolo del web da nord a sud d’Italia e tra le righe dei comunicati stampa dei sindacati che con più forza, per una volta ancora e purtroppo non per l’ultima, hanno urlato «mai più». Mai più morti sul lavoro.

Francesco Stella è stato il primo. Volando giù da un’impalcatura nella zona industriale di Lamezia Terme, il 3 gennaio, ha squarciato la pelle ancora giovane del 2025, aprendo una ferita che ha continuato ad allungarsi. Fino a oggi. Oggi che è Primo Maggio e quel «mai più» risuona tra le strade del Paese, dai palchi allestiti nelle città dove i lavoratori fanno festa per un giorno e quelli che fanno la festa ai lavoratori tutti i giorni ascoltano distrattamente appelli che forse continueranno a essere disattesi. Più sicurezza, più controlli. Più vita.

C’è chi oggi rinnova la lotta e chi, da domani, ricomincerà a chiudere un occhio, o tutti e due. Quest’anno come quello scorso e come gli altri prima ancora. Solo nel primo bimestre dell’anno in corso, secondo i dati diffusi dall’Osservatorio Sicurezza sul lavoro e Ambiente di Vega Engineering, gli incidenti mortali in Italia sono stati 101. Tre quelli registrati in Calabria. Numeri che purtroppo sono andati gonfiandosi ulteriormente, pronti per la prossima statistica. Quelle degli anni scorsi stilate dall’Inail, invece, ci mettono davanti a un quadro drammatico: 1.041 infortuni mortali in Italia nel 2023, 1.090 nel 2024. Tre al giorno.

Numeri e nomi

In Calabria sono stati 29 nel 2023 e 26 nel 2024. La maglia nera la veste la provincia di Cosenza: 17 vittime nel 2023, 12 nel 2024. Poi c’è Catanzaro, 5 e 7. Nel Crotonese 3 morti nel 2023 e 3 nel 2024, nel Reggino 1 e 3, nel Vibonese 3 e 1.

E poi è arrivato il nuovo anno e alla Calabria è toccato il tragico primato. Francesco Stella aveva 38 anni. Ne aveva 25 invece Micheal Affatato. È morto sul colpo precipitando dal tetto di un capannone a Mandatoriccio, il 25 gennaio. Un volo di 10 metri al termine del quale il suo cranio si è fracassato a terra.

In mezzo a queste due tragedie quella del 63enne Antonio Occhiuzzo. Una vita da emigrante in Svizzera, poi il rientro in Calabria, a Roggiano Gravina. Qui, il 10 gennaio si è ribaltato con il suo trattore, è rimasto ferito, ha chiesto aiuto, lo hanno soccorso. È morto poco dopo all’ospedale di Cosenza.

Non è ancora finito in nessuna tabella invece l’incidente costato la vita a Roberto Falbo, il 21 marzo. Anche lui è venuto giù da un’impalcatura, in una fabbrica di mangimi a Lamezia, morendo a 53 anni.

Esistenze schiantate al suolo. Come quella di Raffaele Sicari, finita lontano dalla sua Calabria. È caduto da un cestello mentre era impegnato in interventi di illuminazione pubblica a Siracusa, e qui è morto il 17 febbraio, dopo tre giorni di agonia in un letto d’ospedale. L’ultimo saluto, invece, gli è stato reso a Vibo Valentia, la sua città. Aveva 26 anni.

Era calabrese anche Francesco Procopio, il cui respiro si è fermato il 31 marzo sotto il peso di un armadio blindato, che gli è piombato addosso e lo ha schiacciato contro il pavimento di un’azienda di Orbassano, nel Torinese. I colleghi lo hanno trovato senza vita, gli occhiali in frantumi. Aveva 57 anni e da 30 lavorava lontano dal paese che lo aveva visto crescere, Santa Caterina dello Ionio.

Antonio Maiorano era invece titolare di un’impresa edile individuale. Originario di Belvedere Marittimo, è morto l’11 aprile cadendo dal tetto di una villetta su cui stava eseguendo alcuni interventi, a Chambave in Valle d’Aosta. Aveva 54 anni.

Appena due giorni fa, infine, un 73enne ha perso la vita travolto dal trattore su cui stava lavorando, a San Giorgio Albanese.

Una danza macabra di nomi che poi diventano numeri da incastonare tra righe e colonne su fogli Excel, da sommare, confrontare, trasformare in percentuali. Morti sul lavoro, morti di lavoro. Secondo i dati dell’Inail è il settore edile quello in cui si rileva il maggior numero di decessi in Italia: nel 2024 sono stati 156. Seguono quelli relativi a trasporti e magazzinaggio (111), attività manifatturiere (101) e commercio (58). Parliamo di incidenti mortali, ma sono molti di più se si contano quelli in cui i lavoratori rimangono feriti, a volte in modo grave.

Non solo incidenti mortali

Gli infortuni sul luogo di lavoro denunciati nel 2024 sono stati 589.571, in aumento rispetto ai 585.355 del 2023. In Calabria sono stati 8.857 nel 2024, 8.596 nel 2023. Ancora una volta, il dato peggiore proviene dalla provincia di Cosenza: 3.339 lo scorso anno, 3.080 quello prima. Segue Reggio: 2.072 nel 2024, 2.185 nel 2023. Nel Catanzarese sono stati 1.997 nel 2024 (1.934 nel 2023), nel Vibonese 740 (657 nel 2023), nel Crotonese 709 (740 nel 2023).

E poi ci sono le malattie professionali. Le denunce protocollate dall’Inail nel 2024 in Italia sono state 88.499, 15.745 in più rispetto allo stesso periodo del 2023 (+21,6%). Ai primi posti le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell’orecchio, seguite dai tumori e dalle patologie del sistema respiratorio.

Qualcuno lo ha definito un bollettino di guerra. E come ogni bollettino di guerra racconta di tragedie, di famiglie distrutte, di figli rimasti orfani di genitori e di genitori rimasti orfani di figli. Di frasi sentite e risentite che si vorrebbe fare a pezzi, cambiando l’ordine delle parole, mutandone il senso. Lavoro, strage senza fine. Lavoro senza strage. Fine.