L’epidemia di Lingua blu nel Crotonese rischia di uccidere un intero comparto, l’unica strada è decretare subito lo stato di emergenza
VIDEO | Situazione preoccupante in tutta la provincia che non può contare neanche su un Istituto zooprofilattico. Serve anche accelerare per le vaccinazioni e non abbandonare i piccoli allevatori che rischiano di perdere tutto
Quando le materie sono prettamente tecniche, la politica fa ancora più fatica ad intervenire con lucidità di fronte alle emergenze. L’epidemia di Blue Tongue che sta letteralmente uccidendo il comparto che produce più Pil della provincia di Crotone, nonché il settore ovino più produttivo della zootecnia calabrese, ha fatto emergere alcuni aspetti strategici durante la discussione aperta della Conferenza dei Sindaci di venerdì scorso, che ha richiesto lo stato di emergenza che spetta dichiarare ufficialmente alla Regione Calabria.
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Veterinari, allevatori ed anche geologi hanno sollevato innanzitutto il problema della mancanza in Calabria di un Istituto zooprofilattico che, così come confermato dal sito ufficiale del Ministero della Salute, per la nostra regione fa capo a quello del Mezzogiorno, con sede centrale in Portici (NA) e che segue le complicatissime e diversissime situazioni di Campania e Calabria attraverso le sezioni periferiche nelle province di Avellino, Benevento, Caserta, Salerno, Catanzaro, Cosenza, Reggio Calabria e Vibo. Non ci sono invece presidi per la provincia di Crotone.
E visto che gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (I.Z.S.) con le loro 10 sedi centrali e le 90 sezioni diagnostiche periferiche, (sempre dalla fonte del Ministero della Salute) rappresentano un importante strumento operativo di cui dispone il Servizio Sanitario Nazionale per assicurare la sorveglianza epidemiologica, la ricerca sperimentale, la formazione del personale, il supporto di laboratorio e la diagnostica nell’ambito del controllo ufficiale degli alimenti, è già evidente quanta scarsa programmazione e prevenzione vi possa essere in una delle aree strategiche dell’intero paese, e di conseguenza, di quello europeo.
Non è necessario essere veterinari o scienziati dell’agricoltura moderna per comprendere che siccità, tubercolosi e brucellosi che hanno già minato la zootecnia crotonese (impedendo anche la transumanza), abbiano comunque influito e/o favorito “le migliori condizioni possibili” per esacerbare gli effetti di una nuova ondata di Blue Tongue che è già arrivata ad uccidere oltre 5000 pecore nella già poverissima provincia crotonese. Non è nemmeno difficile comprendere quanto abbandonati a se stessi sono la stragrande maggioranza di piccoli allevatori che, nell’immediatezza, “nascondono” i primi casi per evitare di poter incassare piccole somme che arrivano dalle produzioni di latte o di carne per pecore che hanno raggiunto il costo di investimenti che si aggirano attorno ai 6.000 euro a singolo capo.
E se sono proprio gli Istituti di Zooprofilassi che debbono costituire un supporto tecnico-scientifico ed operativo per lo sviluppo di azioni di polizia veterinaria, piuttosto che per l’attuazione di piani di profilassi, sorveglianza e monitoraggio, non ci si può nemmeno stupire che la situazione odierna del comparto crotonese sia in piena balìa del caos. Lo stato di emergenza infatti può e deve almeno contenere l’emergenza sanitaria di capi moribondi che vagano da allevamento ad allevamento e carcasse abbandonate che diventano ricettacolo di rapaci necrofagi che aumentano a dismisura l’emergenza sanitaria.
Infatti se è altrettanto assodato che per lo smaltimento delle carcasse degli animali morti, non si può trovare risposta “solo” nelle ordinanze dei sindaci che ne autorizzano l’interramento all’interno delle aziende, anche per gli ulteriori costi e procedure per cui serve anche il supporto fondamentale dei geologi, il tema contestuale delle disinfestazioni e del piano vaccinale, non può in alcun modo avere aspettative su chi possa/debba affrontarne le spese, anche a causa della evidente responsabilità dello Stato sul contenimento dei rischi per la salute collettiva che vengono comunque prima delle già tragiche, quanto evidenti, urgenze economiche e sociali.
Quanto ci metterà dunque la Regione Calabria a decretare lo stato di emergenza e predisporre le urgenti misure di disinfestazione per attuare anche il piano vaccinale che impedisca la nuova emergenza in primavera? Si avrà il coraggio di diversificare le disinfestazioni tra quelle all’interno delle aziende e quelle nelle aree demaniali? Si perderà ulteriore tempo a reperire immediatamente i vaccini così scarsamente reperibili senza coinvolgere la Regione Sardegna che ha affrontato recentemente l’ultima emergenza?
Al tavolo della Conferenza dei Sindaci organizzato nel Comune di Crotone, si sono ritrovate voci che, dopo un momento anche di confronto duro, hanno concordato quanto urgente sia il provvedimento di stato di emergenza e che lo status commissariale sia della sanità provinciale che regionale non possa nemmeno trovare “scuse” di lungaggini burocratiche che possono e debbono superare anche i regolamenti europei su eventuali aiuti di Stato configurabili, al limite, solo nella fase di indennizzo, che pure andrà affrontato.
Oggi l’unica strada da percorrere di corsa è quella proprio del contenimento dell’epidemia, per le mere ragioni ovvie ed urgenti che il servizio di veterinaria dell’Asp crotonese ha descritto e che non permettono interpretazioni multiple. Dopo, e se possibile contestualmente, le azioni reali di prevenzione e programmazione che passano dall’organizzazione di un piano di costituzione di Istituti di Zooprofilassi “accessibili” a tutti, a partire dai piccoli e grandi allevatori, per proseguire con le stesse strutture sanitarie di prossimità a cui non può essere lasciato un compito di mera sorveglianza che, in queste condizioni, diventa di polizia.