La “soluzione” del Governo per disinnescare la bomba Lsu-Lpu: tornare al lavoro nero di Stato

Dopo la bocciatura nella tarda serata di ieri dell’emendamento che avrebbe potuto risolvere la situazione, si fa più concreto lo scenario prospettato dallo stesso ministero guidato da Di Maio: la riapertura del bacino dei precari storici che tornerebbero a percepire il sussidio, continuando così ad operare negli Enti locali senza garanzie assicurative e previdenziali

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di Enrico De Girolamo
5 dicembre 2018
01:23

A Roma non è arrivata l’eco delle proteste che per tutta giornata di ieri hanno animato la stazione di Lamezia, dove centinaia di ex Lsu e Lpu hanno occupato lo scalo ferroviario, causando forti disagi alla circolazione dei convogli.

Bocciato l'emendamento salva-precari

In tarda serata, infatti, la Commissione bilancio della Camera ha bocciato l’emendamento salva-precari che il Pd calabrese chiedeva di inserire nella manovra per rimpinguare i fondi e varare le necessarie deroghe alle normative in vigore che impediscono nuove assunzioni negli enti pubblici. Un esito per certi versi scontato, visto che dalla maggioranza parlamentare finora sono venute solo alzate di spalle di fronte a quella che sembra una bomba sociale pronta ad esplodere. «Non è detta l’ultima parola», ha assicurato in diretta Facebook, al termine dei lavori della commissione, una sconsolata Enza Bruno Bossio, la deputata democrat che più di ogni altro è legata, nel bene e nel male, alla sorte dei precari. C’è ancora il Senato a cui guardare, anche se le speranze oggi si sono ulteriormente assottigliate.


Cosa può succedere?

Cosa succederà, dunque, ai 4.500 ex Lsu e Lpu calabresi qualora non dovesse arrivare il via libera al rinnovo dei contratti? La domanda si fa ogni giorno che passa più pressante, visto che il 31 dicembre scadranno i rapporti di lavoro in corso con gli enti locali nei quali questi precari lavorano, molti anche da più di vent’anni. La risposta è arrivata direttamente dal ministero del Lavoro alcuni giorni fa, per bocca del sottosegretario Claudio Cominardi (M5s), che ha replicato nell’aula di Montecitorio all’interpellanza dell’onorevole calabrese Francesco Cannizzaro (Fi), che chiedeva di sapere cosa il Governo avesse intenzione di fare per disinnescare la bomba sociale rappresentata dalla scadenza dei contratti.
Cominardi non ha sciolto i dubbi sul futuro degli ex Lsu e Lpu, perché non ha neppure sfiorato i nodi principali della vertenza, cioè le deroghe legislative senza le quali è impossibile per i Comuni rinnovare i contratti, ma ha assicurato che non ci sarà alcuna emergenza, perché, male che vada, i lavoratori in questione torneranno a tutti gli effetti Lsu e Lpu, cioè percettori di un sussidio erogato dall’Inps.


Lo scenario prospettato dal ministero

«Nell’interpellanza - ha fatto notare il sottosegretario intervenendo in Parlamento - si prospetta un’improvvisa interruzione dei servizi all’interno degli enti locali a causa dell’eventuale mancato rinnovo dei contratti a tempo determinato, oltre che a un pregiudizio per la stabilizzazione futura. Al riguardo segnalo agli onorevoli interpellanti che l’unica conseguenza automatica del mancato rinnovo di tali contratti è il reinserimento nel bacino dei lavoratori interessati dalla contrattualizzazione e non, di certo, il tracollo amministrativo degli enti locali, ferma restando in ogni caso la responsabilità per questi ultimi di procedere alle assunzioni a tempo indeterminato dei suddetti lavoratori».


Torna il lavoro "nero" di Stato?

Da questo passaggio dell’intervento di Cominardi si evincono numerosi indizi che disegnano i probabili scenari futuri.
Innanzitutto, il ministero ammette chiaramente che il bacino dei lavoratori socialmente utili non è stato mai chiuso, come invece è stato sostenuto a lungo in Calabria da parte della Regione e di alcuni esponenti politici che facevano leva su questa “constatazione” per affermare che indietro era impossibile tornare e l’unica strada obbligata fosse quella della stabilizzazione, cioè delle assunzioni a tempo indeterminato da parte dei Comuni. Al contrario, il bacino è vivo e vegeto, e qui, in mancanza di novità, sono destinati a tornare i 4.500 lavoratori che dovessero restare senza contratto dopo la fine dell’anno.
Le differenze retributive non sarebbero particolarmente eclatanti, almeno per quanto riguarda lo stipendio netto che continuerebbe ad aggirarsi in media sui mille euro mensili. Verrebbero meno, invece, tutte le prerogative assicurative e contributive garantite da un contratto “vero”. In altre parole, si tornerebbe al lavoro nero di Stato, così come è stato negli ultimi 25 anni, cioè da quando esistono i lavori socialmente utili.

Il rischio di tracollo per gli Enti locali

Il sottosegretario, dunque, esclude il tracollo degli enti locali, che non rischierebbero di restare senza personale, proprio grazie a questi lavoratori non garantiti da un contratto, che tornerebbero a essere figli di un dio minore, senza neppure la possibilità di utilizzare la propria busta paga, che non ci sarebbe più, per chiedere un prestito o un finanziamento per le spese che ogni famiglia deve affrontare, dalla casa agli studi dei figli, dall’acquisto dell’auto fino a quello meno impegnativo di un elettrodomestico da pagare a rate.
La paralisi amministrativa sarebbe però scongiurata, anche se il rappresentante del dicastero guidato da Luigi Di Maio, nell’ultimo passaggio della sua risposta avverte: «Ferma restando in ogni caso la responsabilità degli enti locali di procedere alle assunzioni a tempo indeterminato dei suddetti lavoratori».


I Comuni tra due fuochi

Frase ambigua, perché sembra scaricare il peso delle stabilizzazioni esclusivamente sui Comuni, nonostante sia ormai arcinoto che senza precise deroghe ai paletti imposti dalle normative in vigore - come il rispetto del turnover con chi va in pensione e l’obbligo di osservare la programmazione triennale del fabbisogno di personale – nuove assunzioni non sono possibili. Ma la vera spada di Damocle che pende sui Comuni è il limite di 3 anni alle assunzioni a termine imposto a suo tempo dalla riforma Madia, proprio con l’obiettivo di eliminare il precariato dalla Pa. Oltre questo limite (che la stragrande maggioranza dei lavoratori ha già superato lo scorso anno), chi viene assunto con contratto a tempo può intentare causa per vedersi riconosciuti i suoi diritti, chiamando il Comune a rifondere i danni della mancata stabilizzazione. Se lo scorso anno molti Enti hanno corso il rischio superando il punto di non ritorno e fidandosi delle promesse di chi dava per privo di rischi il percorso tracciato, questa volta nessuno farà il passo più lungo della gamba in assenza di un lasciapassare legislativo, cioè le famose deroghe. E le porte del bacino Lsu/Lpu si riapriranno, perpetrando l’aberrazione di un precariato lavorativo che nel corso degli ultimi due decenni ha alimentato il fecondo ventre del clientelismo politico calabrese, con ricattati e ricattatori avvinti come l’edera per chissà quanto tempo ancora.


Enrico De Girolamo

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