Una ricorrenza che dovrebbe richiamare orgoglio e consapevolezza e invece ogni anno si trasforma in una celebrazione confinata a cerimonie e frasi retoriche. Serve una svolta vera e gli Stati Uniti d’Europa sono l’unico sbocco possibile
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Il 9 maggio si celebra la Festa dell’Europa, anniversario della Dichiarazione Schuman del 1950, atto fondativo dell’idea di un continente unito non solo economicamente, ma anche politicamente e culturalmente. È una ricorrenza che dovrebbe richiamare orgoglio e consapevolezza. E invece, ogni anno, si trasforma in una celebrazione stanca, confinata a cerimonie istituzionali, bandiere blu e frasi retoriche.
Ma oggi più che mai, quella dichiarazione merita di essere riletta non come una pagina di storia, ma come un manifesto incompiuto. Perché la verità è che l’Europa non è ancora quella che i suoi Padri Fondatori immaginavano. Il loro sogno, in buona parte realizzato, è ancora a metà strada. Il traguardo finale, quello di una vera Unione politica, resta lontano.
Robert Schuman, Jean Monnet, Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer: uomini di visione, di responsabilità e di coraggio. In un’Europa devastata dalla guerra, seppero guardare oltre il dolore, oltre le frontiere, e immaginare una comunità di destino. La loro ambizione non era un semplice accordo commerciale, ma un progetto politico: creare le condizioni per una pace duratura, per uno sviluppo condiviso, per una sovranità europea che si fondasse sulla cooperazione.
Le istituzioni nate nei decenni successivi – dalla CECA alla CEE, fino all’Unione Europea e all’euro – sono state tappe fondamentali. Ma ciò che manca oggi è ciò che i Padri Fondatori avevano intuito fin dall’inizio: l’Europa non può funzionare davvero se resta solo un’unione di Stati. Deve diventare una vera federazione.
Viviamo un tempo di sfide epocali: guerre ai confini, instabilità economiche, crisi climatiche, rivoluzioni tecnologiche. In questo scenario globale, nessun Paese europeo, preso singolarmente, ha la forza per influenzare davvero il mondo. Né la Germania, né la Francia, né l’Italia. Nemmeno i più forti.
Serve una svolta, e serve ora. Perché l’Europa a metà non regge più. Non basta avere una moneta unica se non c’è una vera unione fiscale. Non basta un mercato comune se non c’è una politica economica integrata. Non basta una diplomazia europea se poi ogni Stato parla da solo, in ordine sparso, sulle crisi internazionali. E non basta nemmeno il legame con la NATO se l’Europa non ha una vera difesa comune, autonoma, integrata, efficace.
Il punto non è tecnicistico. È politico. O l’Europa sceglie di diventare una Federazione - gli Stati Uniti d’Europa – o resterà irrilevante, divisa, vulnerabile. E rischierà di essere sempre più marginale tra le grandi potenze del XXI secolo: Stati Uniti, Cina, India.
Quello che un tempo poteva sembrare un sogno idealista - una federazione europea, con un governo eletto dai cittadini, una sola voce in politica estera, una sola strategia di difesa – oggi è una necessità storica.
Gli Stati Uniti d’Europa non sono un’utopia. Sono l’unico sbocco possibile per completare il progetto iniziato nel dopoguerra. Per dare forza politica alla potenza economica dell’UE. Per proteggere i nostri modelli sociali. Per rendere efficace la transizione ecologica e digitale. Per contare davvero, come soggetto sovrano, nel nuovo ordine mondiale.
Non servono mille trattati. Serve volontà politica. Serve una nuova classe dirigente europea che guardi al futuro con la stessa audacia con cui Schuman e Monnet guardarono al loro tempo. Serve che i cittadini europei – soprattutto i giovani – si riconoscano in un’identità comune, non come alternativa alle loro nazionalità, ma come rafforzamento del loro essere italiani, francesi, tedeschi, spagnoli… ed europei.
Ogni 9 maggio rischia di diventare una celebrazione nostalgica, se non ci impegniamo a riempirlo di futuro. Il progetto europeo non è concluso: è sospeso. Sospeso tra ciò che è stato conquistato e ciò che resta da costruire.
La domanda vera oggi non è se sia possibile arrivare agli Stati Uniti d’Europa. La domanda è: abbiamo ancora il coraggio di provarci?
Se vogliamo onorare davvero la memoria dei Padri Fondatori, dobbiamo avere la stessa audacia, la stessa visione. Non ci servono più gesti simbolici, ma scelte storiche. Come disse Altiero Spinelli, uno dei più lucidi sostenitori dell’Europa federale: “Non siamo venuti a custodire un museo, ma a costruire un mondo nuovo”.
Quel mondo può ancora nascere. Ma solo se l’Europa smette di avere paura di sé stessa. Solo se, finalmente, decide di diventare una nazione tra le nazioni, unita nella sua diversità, forte della sua democrazia.
Perché il sogno europeo è ancora lì, vivo. Aspetta solo il coraggio di essere realizzato.