Il patriarca latino e quello ortodosso Teophilus III tornano dalla Striscia con parole dure: «Punizioni collettive, famiglie spezzate, bambini sotto shock: ciò che accade è moralmente inaccettabile»
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«Cristo non è assente da Gaza. È lì, crocifisso nei feriti, sepolto sotto le macerie, presente in ogni gesto di misericordia, in ogni mano che consola, in ogni candela accesa nel buio». Non è solo una dichiarazione di fede, ma una presa di posizione precisa, coraggiosa, sofferta. Parole scelte, scolpite. A pronunciarle è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca latino di Gerusalemme, durante la conferenza stampa convocata al Notre Dame Center, di ritorno dalla visita nella Striscia di Gaza, dove si è recato insieme al patriarca greco-ortodosso di Gerusalemme, Teophilus III. Due voci, due Chiese unite dalla stessa ferita.
Quello che raccontano è un viaggio dentro una tragedia che le cifre, da sole, non bastano a descrivere. «Abbiamo camminato nella polvere delle rovine - ha raccontato Pizzaballa -, tra edifici crollati e tende ovunque: nei cortili, nei vicoli, sulle spiagge. Tende che oggi sono diventate casa per chi non ha più nulla. Ci siamo trovati in mezzo a famiglie che hanno perso il conto dei giorni di esilio. I bambini giocano come se niente fosse. Hanno già imparato a convivere con il rumore delle bombe». Una realtà che, come ha aggiunto, spezza il cuore, ma non solo. «Interroga la coscienza del mondo».
Il quadro umanitario nella Striscia è sempre più drammatico. Quartieri interi rasi al suolo, ospedali senza elettricità, mancanza d’acqua, fame cronica. Un’intera generazione di bambini traumatizzati. Ma dentro questo inferno, ciò che ha colpito i due patriarchi è stato altro: «Abbiamo visto qualcosa di più forte della distruzione: la dignità di chi si ostina a restare umano». Madri che preparano da mangiare per altri. Infermiere che curano senza risparmiarsi. Uomini e donne di ogni fede che pregano insieme, dentro una notte che sembra non finire.
Ecco perché la Chiesa ha scelto di esserci. E di dire con forza che non intende abbandonare nessuno. «La comunità internazionale li ha lasciati soli. Noi no. Non li abbandoneremo mai», ha dichiarato Teophilus III. Parole che diventano gesto concreto: la visita è servita anche a sbloccare il canale per la distribuzione di aiuti umanitari, nonostante la logistica sia ormai ridotta al collasso.
Uno dei punti più dolorosi affrontati nella conferenza è stato l’attacco che il 17 luglio ha colpito la Chiesa della Sacra Famiglia, causando la morte di tre civili e il ferimento di altri dieci. Israele ha parlato di “errore”, promettendo un’indagine. Pizzaballa non ha alzato la voce, ma le sue parole sono pesate una ad una: «Non siamo esperti di balistica. Ma constatiamo i fatti. Attendiamo che le indagini si facciano e che parlino chiaramente». Nessun giudizio affrettato, ma nessuna rimozione.
Sul fronte diplomatico, i due patriarchi hanno confermato interlocuzioni aperte, fra cui un colloquio con l’ambasciatore americano Huckabee. Quanto al ruolo della Chiesa nei negoziati, Teophilus ha tagliato corto: «La Chiesa non ha confini. Parla con tutti». Ed è proprio questo spirito che ha permesso anche il viaggio: l’ingresso a Gaza è avvenuto anche grazie al supporto di molti israeliani, un dettaglio che i due non hanno mancato di sottolineare. La colpa, ha spiegato Pizzaballa, non è di un popolo, ma di una politica.
Le parole usate nella conferenza stampa, più che rispondere alle domande, le rilanciano. Che futuro attende Gaza? Che spazio ha la speranza, in uno scenario dove sembra vincere solo la disperazione? «Eppure – ha raccontato ancora il patriarca – i cristiani continuano a dire: “ho una casa, ho un negozio in fondo alla strada”. Usano il presente. È la lingua del trauma, certo. Ma anche della speranza. Una speranza che si ostina a non morire».
Il messaggio è chiaro: i cristiani a Gaza restano. E quando arriverà il tempo della pace, saranno parte attiva nella riconciliazione. Ma perché arrivi quel giorno, è necessario fermare il massacro. «Occorre applicare la legge umanitaria internazionale – ha detto Pizzaballa –. Proteggere i civili. Impedire punizioni collettive e spostamenti forzati. Ciò che accade a Gaza è moralmente inaccettabile. Deve finire».
La denuncia non si ferma alla Striscia. Anche la Cisgiordania è attraversata da un’escalation di violenza. Il patriarca ha ricordato l’incendio appiccato da coloni al cimitero cristiano di Taybeh, l’unico villaggio interamente cristiano della Palestina. «Anche lì regna una terra senza legge», ha detto con amarezza. «E quando le istituzioni tacciono, la voce della Chiesa deve farsi carico del dolore dei popoli. Senza parzialità. Senza paura».
Il tempo della retorica è finito. Quello che arriva da Gaza non è solo un racconto. È un grido. Un grido che invoca ascolto. E giustizia.