In concomitanza con l’anniversario dell’arresto del conduttore tv, HBO Max rilascia le prime, intense immagini della serie Portobello. Una ricostruzione di una delle pagine più buie della storia italiana recente
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MILANO ENZO TORTORA PRESENTATORE DURANTE IL PROGRAMMA TELEVISIVO PORTOBELLO
Il 17 giugno 1983 Enzo Tortora, volto amatissimo della televisione italiana, professionista principe di stile e di eleganza, veniva arrestato sotto gli occhi increduli di milioni di cittadini. Oggi, a quarantadue anni da quel giorno, HBO Max ha diffuso le prime immagini della serie Portobello, diretta da Marco Bellocchio. E non si tratta solamente di un omaggio alla memoria: è un pugno allo stomaco che ci ricorda quanto fragile possa essere lo Stato di diritto.
Bellocchio, autore da sempre attento alle lacerazioni del tessuto sociale italiano, ci restituisce la tragedia personale e pubblica di un uomo inghiottito da un errore giudiziario clamoroso. Lo fa scegliendo un’immagine simbolo: Tortora con quelle vergognose manette ai polsi, il volto scavato dalla vergogna, davanti a una caserma dei carabinieri. È la fotografia del dolore, ma anche dell’umiliazione inflitta a un cittadino innocente, colpevole solo di essere finito nel mirino di una giustizia cieca e impietosa.
Fabrizio Gifuni: il volto della dignità perduta
Nel ruolo del conduttore, troviamo un intenso Fabrizio Gifuni. L’attore romano accetta l'ennesima, durissima sfida: restituire l’anima di un uomo schiacciato dal peso dell’ingiustizia ma capace di lottare fino alla fine per la verità. Il suo sguardo, la postura, la voce restituiscono la sofferenza silenziosa e dignitosa di Tortora, trasformando la serie in un atto civile prima ancora che artistico. Accanto a lui un cast d’eccellenza: Lino Musella, Barbora Bobulova, Romana Maggiora Vergano e Alessandro Preziosi, a completamento di un racconto corale che non vuole solo ricostruire i fatti, ma scavarne le implicazioni più profonde.
Una tragedia che smaschera le falle del sistema
La storia di Enzo Tortora, ingiustamente accusato di far parte di un traffico di droga gestito dalla camorra, non è solo una vicenda individuale. È il simbolo di quanto possano essere fragili le fondamenta democratiche di un Paese quando il potere giudiziario dimentica la prudenza, e i media si trasformano in tribunali paralleli. La serie Portobello, prima produzione italiana originale di HBO Max (in arrivo nel 2026), si inserisce come un necessario grido di allarme: ciò che è accaduto a Tortora può accadere a chiunque. La macchina dello Stato, quando si inceppa, non si limita a rallentare: può stritolare vite. E il caso Tortora è la dimostrazione più lampante di questa vulnerabilità istituzionale. Un uomo amato, stimato, accusato senza prove concrete, incarcerato, infangato, dimenticato da chi lo aveva in precedenza celebrato.
Bellocchio: cinema come memoria collettiva
Bellocchio sceglie, ancora una volta, di usare il cinema come strumento di riflessione pubblica. Con Portobello, il regista scava nel cuore di una ferita nazionale che brucia ancora oggi. Lo fa senza retorica ma con la potenza della verità visiva, inchiodando lo spettatore a una domanda inevitabile: “Che giustizia è quella che distrugge prima di verificare?”. Il suo cinema non assolve, ma neppure accusa per partito preso. Racconta. E nel raccontare, costringe a ricordare. Perché dimenticare Tortora – la sua storia, la sua dignità, la sua fine – significherebbe accettare che tutto ciò possa ripetersi.
Portobello è ancora tra noi
Il titolo della serie, Portobello, è un richiamo al contempo ironico e amaro a quel programma che settimanalmente portava gioia e leggerezza nelle case italiane. Ma oggi, quel nome diventa il simbolo di un’Italia che ha voltato le spalle a uno dei suoi figli migliori. La ferita è ancora aperta, questa serie tv è un invito a guardarla senza distogliere lo sguardo. Non si tratta solo di giustizia per Tortora ma di un esame di coscienza nazionale. Perché l’Italia, quella vera, dovrebbe imparare a non far finta di nulla quando l’errore diventa sistema.