Nessuno avrebbe potuto prevedere che la prima puntata di Belve Crime sarebbe stata un tale colpo al cuore. Francesca Fagnani e Massimo Bossetti, faccia a faccia, in uno studio che sembra un ring più che un salotto. Il pubblico? Incollato allo schermo, con 1.570.000 spettatori e il 12,4% di share: un debutto da record per lo spin-off di Belve, che già promette di diventare una calamita per il pubblico e un campo minato per chi, come Bossetti, deve rispondere di un delitto che ancora divide l’Italia.

L’atmosfera è tesa, come se la tensione potesse farsi materia. La Fagnani, con il suo sguardo di ghiaccio e la voce che non concede sconti, incalza senza sosta. Nessuna pietà, nessun inchino. Bossetti, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, continua a ripetere la sua verità: innocente, vittima di un errore giudiziario. Ma ogni parola sembra un colpo che si ritorce contro di lui.

La giornalista non arretra. Sul tema del DNA, su cui si gioca gran parte del destino processuale di Bossetti, lo inchioda con la precisione di un chirurgo: «Il DNA nucleare parla chiaro». Il muratore prova a smarcarsi, parla di «mitocondriale», di prove sfuggenti, ma la Fagnani non molla. E sui social la scena esplode: c’è chi applaude la sua fermezza, chi la accusa di essere troppo inquisitoria. Ma è proprio questo il segreto del successo di Belve Crime: non un talk, ma un corpo a corpo tra la cronaca e la sua narrazione.

Bossetti prova a giocare la carta della normalità, racconta quella sera come una delle tante. «Sono stato dal commercialista, dal parrucchiere, da mio fratello», ripete. Ma il dettaglio più scomodo – il cellulare spento fino al mattino dopo – resta lì, come una porta che non si apre. La Fagnani lo pungola, e lui, pur senza cedere del tutto, traballa. Forse è proprio questa la cifra di Belve Crime: non un processo in tribunale, ma un processo nell’immaginario collettivo.

C’è spazio anche per il lato umano, quando si parla della famiglia e delle bugie. Il soprannome “Favola” che gli davano i colleghi per la sua tendenza a inventare storie – anche una malattia immaginaria, pur di non andare al lavoro – diventa un’ammissione amara. Poi, la ferita più grande: la scoperta dei tradimenti della moglie Marita mentre era in carcere. «Una cicatrice che non si rimargina», ammette con voce spezzata.

Ma è la Fagnani a dominare la scena, senza mai lasciarsi sfuggire una reazione di troppo. Il suo stile è diventato un marchio di fabbrica: sguardo dritto negli occhi, tono calmo ma implacabile. Non è il pubblico ministero, ma poco ci manca. Non è la difesa, ma la sua voce incalza come se fosse l’eco delle domande che milioni di italiani vorrebbero fare.

E i social? Un tripudio di commenti e analisi. C’è chi la incorona regina dell’inchiesta televisiva, chi la critica per la sua “imparzialità mancata”. Ma in fondo è questo il bello: Belve Crime non cerca di mettere tutti d’accordo. Vuole dividere, scuotere, far pensare. Anche perché il caso di Yara Gambirasio – con le sue ombre, i suoi dubbi e la sua verità già scritta in sentenza – resta uno dei più inquietanti della nostra storia recente.

Nel frattempo, la Fagnani si gode il successo. Con questa intervista, ha dato al programma uno slancio che pochi si aspettavano. E chissà se riuscirà a bissare questo colpo nella prossima puntata. Per ora, resta il ritratto di una donna che sa come scavare nelle parole (e nei silenzi) dei suoi ospiti. E quello di un uomo che, anche dopo la condanna, non smette di proclamarsi innocente.

Un duello che – a prescindere da come la si pensi – ha dimostrato che la tv, quando si confronta con la realtà più dura, sa ancora scuotere e far discutere. Francesca Fagnani lo sa. E lo sa anche Massimo Bossetti, che in un’ora di parole ha visto riaccendersi i riflettori su una vicenda che non conosce oblio.