Cresce il peso dei minorenni coinvolti, sull’onda di un mix di vecchia propaganda dell’Isis e nuovi strumenti digitali. Il fenomeno si intreccia con solitudine, disagio psicologico e algoritmi che creano contenuti estremi su misura per gli adolescenti
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Nel 2024, l’Italia ha visto un’impennata senza precedenti negli arresti legati al terrorismo di matrice jihadista: 62 persone fermate, quasi il doppio rispetto all’anno precedente. È un dato che non solo preoccupa le autorità, ma colloca il nostro Paese in cima alle statistiche europee per tasso di crescita. A inquietare maggiormente è la presenza di minorenni tra i sospetti: ragazzi e ragazze che, spesso senza muoversi dalla propria camera, vengono risucchiati in un vortice di radicalizzazione digitale.
Il fenomeno ha ormai un nome preciso, coniato dagli esperti di sicurezza: “TikTok jihad”. Un’espressione che fotografa perfettamente l’incontro fra la vecchia propaganda dell’Isis e i nuovi canali di diffusione: piattaforme social, chat criptate, video brevi e algoritmi capaci di confezionare messaggi su misura per ogni utente.
A spiegare la dinamica è Lorenzo Vidino, direttore del Programma sull’Estremismo dell’Università George Washington: «Oggi il jihadismo non ha più bisogno di grandi moschee clandestine o di viaggi all’estero. Il radicalismo nasce online, con contenuti studiati per colpire i ragazzi più isolati e fragili, e si alimenta di intelligenza artificiale, che amplifica e personalizza la propaganda».
Se l’Italia registra un allarme crescente, il quadro europeo è ancora più cupo. In Spagna, ad esempio, nel 2024 sono stati fermati 15 minorenni implicati in attività terroristiche, superando in un solo anno la somma di tutti gli arresti di under 18 dal 2017 al 2022. E nei primi sei mesi del 2025, altri 7 adolescenti sono già finiti nel mirino degli inquirenti. Il Paese iberico ha chiuso l’anno scorso con 81 arresti complessivi, il numero più alto dai giorni drammatici degli attentati di Atocha del 2004.
Secondo un rapporto del Centro Memoriale per le Vittime del Terrorismo, la maggioranza dei fermati è di nazionalità locale e mostra affinità con l’Isis, confermando che il Califfato virtuale continua a esercitare un’attrazione potente, nonostante la perdita dei territori siriani e iracheni. L’Italia, con i suoi 62 arresti, segue a ruota e supera Francia (69) e Germania (55) per tasso di crescita e per numero di casi che coinvolgono adolescenti.
Il cuore del problema resta la radicalizzazione in rete. Video di propaganda, inni alla guerra santa, tutorial per la fabbricazione di ordigni rudimentali: tutto è accessibile con pochi clic, spesso nascosto dietro profili anonimi e hashtag apparentemente innocui. L’intelligenza artificiale ha aggiunto un nuovo livello di pericolosità: la possibilità di creare avatar e messaggi personalizzati, capaci di aggirare i filtri automatici delle piattaforme e di colpire direttamente la psiche dei più giovani.
Gli investigatori italiani parlano di un target preciso, fatto di adolescenti solitari, disorientati, spesso con problemi di autostima o con fragilità psicologiche. Ragazzi che trovano in rete un senso di appartenenza e che si trasformano, in poche settimane, da semplici spettatori a potenziali esecutori di attentati. In più di un caso, raccontano fonti dell’antiterrorismo, i genitori hanno scoperto il rischio troppo tardi, dopo che i figli avevano già preso contatti con cellule operative o iniziato a pianificare atti dimostrativi.
Il contrasto al “TikTok jihad” è ormai una priorità europea. Italia e Spagna hanno rafforzato le unità di cyber-polizia e intensificato la collaborazione con le piattaforme social, che faticano a tenere il passo della propaganda fluida e iper-tecnologica. Ma gli esperti avvertono: senza un lavoro capillare nelle scuole e nelle famiglie, la prevenzione resterà fragile, perché il jihadismo digitale sa muoversi dove lo Stato arriva più tardi: negli smartphone dei ragazzi.