L’Occidente deve prepararsi a un’escalation militare. L’allarme è stato lanciato ieri durante il vertice dei ministri della Difesa della Nato. Un summit teso, segnato da parole nette e un senso crescente di urgenza. A parlare per primo è stato l’ambasciatore americano presso l’Alleanza, Matthew Whitaker, che ha preso la parola in sostituzione del segretario alla Difesa Hegseth, assente all’incontro. Subito dopo è intervenuto il segretario generale della Nato, Mark Rutte.

«L’urgenza del momento è innegabile – ha dichiarato Whitaker –. Mentre il conflitto in Ucraina continua, Mosca sta già preparando la sua prossima mossa. Il Cremlino ricostruisce il proprio esercito, e gli alleati devono superare la Russia in ogni ambito. Non abbiamo altra scelta». Per Whitaker, la Nato deve adeguarsi alle minacce del 2025 e degli anni a venire, abbandonando la logica dei “campi di battaglia di ieri”.

Il messaggio a Mosca: «La reazione sarà devastante»

Rutte ha rincarato la dose, con un avvertimento diretto a Vladimir Putin: «Siamo preparati a ogni eventualità. Se la Russia dovesse attaccare, in particolare nei confronti dei Paesi baltici, la risposta della Nato sarà devastante. Non solo oggi, ma anche tra tre, cinque o sette anni. È per questo che dobbiamo investire di più nella nostra difesa».

Il messaggio chiave è che «ogni centimetro del territorio dell’Alleanza verrà difeso». Chi pensa il contrario, ha aggiunto Rutte, «si sbaglia e ne affronterà le conseguenze». Un avvertimento chiaro, che risuona nei corridoi diplomatici europei come una presa d’atto di una realtà sempre più instabile.

L’ombra lunga della “Grande Russia”

Due i punti che spingono la Nato ad alzare il livello di guardia. Il primo riguarda la convinzione, condivisa ormai anche da Donald Trump, che il presidente russo non abbia alcuna intenzione di negoziare una pace o una tregua duratura in Ucraina. Il conflitto, secondo le intelligence occidentali, è destinato a proseguire ancora per mesi, forse per anni.

Ma soprattutto, i report dei servizi europei sottolineano come la Russia stia cercando di riportare sotto il proprio controllo parti dell’ex sfera sovietica: Lituania, Lettonia, Estonia, Moldavia. Paesi oggi indipendenti e – in gran parte – membri della Nato. Il rischio di un allargamento del conflitto è concreto. E proprio per questo, gli Stati Uniti invitano i partner europei a quintuplicare i sistemi di difesa aerea e terrestre.

Difesa comune, costi non condivisi

Il secondo nodo è quello dei finanziamenti. Washington non vuole più sostenere da sola il peso della sicurezza europea. Già con l’insediamento della nuova amministrazione americana era stato detto chiaramente: serve un cambio di passo. E adesso, in vista del vertice Nato previsto a fine mese nei Paesi Bassi, la richiesta diventa un’imposizione: portare la spesa militare al 5% del Pil.

«Non si tratta di un suggerimento – ha chiarito Whitaker –. È un impegno concreto». Ma per l’Europa questa soglia è altissima. Basti pensare che l’Italia oggi investe l’1,3% del Pil nella Difesa: poco più di un quarto rispetto all’obiettivo. Anche la Germania frena: «Nessuno sostiene davvero il 5% – ha dichiarato il ministro tedesco Boris Pistorius –. È un traguardo irrealistico. Possiamo parlare di un aumento graduale nei prossimi anni».

Il problema non è solo economico, ma politico. In molti Paesi, opinione pubblica e governi non sono pronti a una nuova corsa al riarmo. Ma le pressioni americane, unite alla crescente instabilità sul fronte orientale, stanno cambiando il quadro.