Londra è in questi giorni cuore di una fitta trama geopolitica, teatro di un tavolo negoziale in cui dazi, restrizioni tecnologiche e terre rare sono gli strumenti di una partita molto più ampia: la ridefinizione dell’ordine economico globale. Dopo tappe successive – i colloqui di Ginevra, una telefonata tra Trump e Xi Jinping – ora Stati Uniti e Cina tornano a negoziare, in un momento di reciproca debolezza. Per Pechino i segnali sono chiari: deflazione, crisi immobiliare, esportazioni in calo del 34,5%. Per Washington, l’obiettivo è evitare interruzioni nelle filiere strategiche, soprattutto in vista delle elezioni di metà mandato del 2026.

Usa vs Cina, le leve strategiche: dazi, chip, visti e terre rare

Gli Stati Uniti hanno intensificato la pressione con dazi su centinaia di miliardi di merci in aprile e ulteriori limitazioni sulle esportazioni tecnologiche: chip, software, visti per studenti cinesi nei settori ad alta tecnologia. Washington mira a rafforzare il controllo sull'accesso ai semiconduttori e agli strumenti critici per la difesa.

Pechino ha reagito sfruttando una risorsa chiave: le terre rare. Queste materie prime sono fondamentali per l’elettronica, le tecnologie verdi, l’automotive e il settore militare. Riducendo o rallentando le esportazioni – e secondo alcune fonti, subordinando tali esportazioni alla condivisione della proprietà intellettuale – la Cina ha iniziato a sferrare un attacco sofisticato e non convenzionale, utilizzando leve economiche invece che militari.

L’aspetto asimmetrico del negoziato

Il confronto è profondamente sbilanciato. Washington è sotto pressione per trovare soluzioni rapide, soprattutto in vista del 2026; Pechino può permettersi una strategia di medio-lungo termine, contando su benefici strutturali. La sua capacità di bloccare intere filiere rende la sua posizione strategicamente molto più forte. Gli Stati Uniti tentano di bilanciare con concessioni su dazi e restrizioni tecnologiche, mentre Pechino gioca sulla scarsità di risorse critiche.

Una nuova guerra fredda

Il controllo delle terre rare ridisegna le filiere globali: chi non ha accesso a queste materie si trova ad affrontare costi più alti e flessibilità ridotta. Questo induce paesi e aziende a diversificare le catene di approvvigionamento, rendendo la geopolitica un elemento quotidiano della produzione, non più relegato alla dimensione militare.

Le limitazioni sui visti per studenti cinesi, e l’accusa che Pechino sfrutti tali canali per acquisire segreti industriali, traslano il confronto in una nuova guerra fredda. Non più solo container, ma intelligenza, software, brevetti: strumenti cruciali per assicurare la crescita economica e la supremazia nazionale.

La Cina, durante il summit a Londra, ha anche accelerato le autorizzazioni per aziende europee, inviando un doppio segnale: un avvertimento agli Stati Uniti e un’offerta strategica all’Europa. Questo rafforza l’idea che il conflitto tra superpotenze non blocca del tutto l’asse europeo, ma lo coinvolge come spazio negoziale alternativo.

Cosa può succedere dopo Londra

Dall’analisi alle prospettive: un accordo congiunto, non vincolante, potrebbe tracciare una tregua fino alla scadenza del 12 agosto 2025. Il trattato potrebbe prevedere sblocco parziale delle terre rare, allentamento controlli sui chip non strettamente militari e concessioni reciproche su dazi e barriere non tariffarie.

In caso di fallimento dei tecnici a colmare le distanze – e senza un accordo politico prima di agosto – c’è il rischio di ritorsioni: Washington potrebbe aumentare i dazi, mentre Pechino potrebbe rivedere ulteriormente il flusso delle terre rare. Questo alimenterebbe una nuova ondata di nazionalismi economici, con effetto boomerang sulle supply chain globali.

La sfida per il nuovo ordine economico

Il potere nel XXI secolo non si misura più solo con i missili o il Pil, ma con la capacità di controllare le linee di produzione dell’avversario. Se la Cina può bloccare le terre rare, altera l’intero processo di innovazione globale.

Questa guerra industriale – tecnologie avanzate, materie prime e controllo della conoscenza – si muove sotto la soglia dell’escalation militare, ma ha impatti concreti sulla vita quotidiana: dalla disponibilità di auto elettriche ai telefoni, fino al funzionamento dell’intera industria ad alta tecnologia.

Europa e Italia si trovano nel mezzo: da una parte rischiano di subire i contraccolpi delle tensioni tra superpotenze; dall’altra possono sfruttare la situazione per rafforzare la propria autonomia tecnologica, investendo in miniere alternative, ricerca e produzione europea di chip e leghe critiche. La chiave sarà trovare coesione strategica interna.

Una partita globale dal significato epocale

L’incontro di Londra è una sorta di “prova generale” della nuova fase di tensione globale. L’esito inciderà sulla libertà di scelta delle imprese, la sicurezza economica dei Paesi e il profilo geopolitico del XXI secolo. Se salirà la tensione, il mondo entrerà in una fase di blocchi contrapposti, dove chi controlla la tecnologia e le materie prime avrà la capacità di plasmare il futuro.

Per gli Stati Uniti la sfida è mantenere l’industria competitiva senza perdere il controllo della catena strategica; per la Cina è dimostrare che può manipolare le filiere globali senza subire conseguenze. Da questa partita emerge una lezione per l’Europa: serve un’autonomia tecnologica sostenibile, senza indebitarsi per una possibile vittoria tattica di una sola superpotenza. Questa è la sfida a lungo termine. Il vertice potrebbe chiudersi con una dichiarazione congiunta non vincolante, lasciando ai tecnici il compito di colmare le distanze. Ma il tempo stringe: la tregua commerciale scade il 12 agosto. E senza progressi concreti, una nuova escalation sembra sempre più probabile.