Nella sua prima apparizione pubblica il nuovo Papa sceglie l’umiltà e l’unità. Non proclami, ma una parola sola: «Pace»
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Il nuovo Pontefice Leone XIV si presenta ai fedeli dal loggione della Basilica di San Pietro a Roma
C’è qualcosa di profondamente umano in quel momento in cui la finestra della loggia delle Benedizioni si apre e un uomo qualunque, fino a pochi istanti prima sconosciuto ai più, diventa il Papa. Non è mai solo un gesto cerimoniale. È una nascita pubblica. E oggi, sulla soglia del pontificato di Leone XIV, quella soglia ha avuto il volto emozionato di Robert Francis Prevost, pelle scura, occhi commossi, voce spezzata ma ferma.
Non ha cercato l’applauso. Non ha dominato la piazza. Non ha usato toni da condottiero. Ha scelto invece la parola più semplice, la più urgente: «Pace». Un’invocazione, più che un annuncio. La pace come inizio, come bussola, come desiderio. «La pace sia con voi» – ha detto – «è il saluto del Cristo Risorto. Una pace disarmata e disarmante, che nasce dall’amore incondizionato di Dio». Così è cominciato il pontificato del primo Papa agostiniano della storia moderna.
La voce di Leone XIV è sembrata venire da lontano, come se stesse cercando anche lui le parole adatte. Ha pronunciato frasi semplici, talvolta impastate dall’emozione. Ma ogni pausa ha pesato più di qualsiasi omelia. Non ha parlato “alla Chiesa”, ha parlato “con” la Chiesa. Con un “noi” che ha attraversato tutto il discorso. Ha ringraziato i cardinali, ha ricordato Papa Francesco, ha invocato l’aiuto di tutti: «Non si può camminare da soli. Vi chiedo di aiutarmi a costruire ponti, a tenere vivo il dialogo tra i popoli. Siamo tutti discepoli, chiamati a camminare insieme».
C’è stato poi il momento della rivelazione personale. «Sono un figlio di Agostino», ha detto. Non come un’appartenenza da rivendicare, ma come una radice. L’agostinismo, ha spiegato, è apertura, carità, comunità, ascolto. In quelle parole si è intuita la traiettoria possibile di questo pontificato: un pastore che conosce il dubbio, che cerca la verità senza dogmatismi, che preferisce il cammino alla conquista.
La lingua è rimasta quella del cuore. Nessun proclama, nessuna dichiarazione programmatica. Ma il messaggio è arrivato chiarissimo: la Chiesa che immagina Leone XIV è una Chiesa che si lascia interrogare dal mondo, che non pretende di imporsi ma che desidera accompagnare. Una Chiesa «sinodale», come ha detto lui stesso, che sa mettersi in cammino senza dimenticare chi è rimasto indietro.
Il momento più tenero è stato quello dedicato a Maria. Il nuovo Papa ha ricordato che proprio oggi si celebrava la Supplica alla Madonna di Pompei. Non un dettaglio devoto, ma un’indicazione: «Vogliamo essere una Chiesa che cammina con Maria, che si lascia guidare dalla sua tenerezza». E lì, prima dell’Ave Maria, ha chiesto di pregare insieme. Non «per me», ha sottolineato, ma «per questa missione, per la pace della Chiesa in tutto il mondo».
Un passaggio forte anche per chi si aspettava un approccio più istituzionale: Leone XIV ha parlato della «Chiesa che soffre», di chi è perseguitato, dei popoli feriti. Non ha usato frasi diplomatiche. Ha parlato come chi sa che il Vangelo non è neutrale. E ha scelto il momento zero del suo pontificato per dirlo.
Il primo discorso di Leone XIV è stato autentico. E forse è questo il segno. Nessuna regia, nessun effetto. Solo un uomo con un peso enorme sulle spalle, che chiede una cosa: non restare da solo.
Con quella voce commossa, con quella carezza nella voce, con quella parola pronunciata come un’ancora – «pace» – il nuovo Papa ha messo un seme. Da oggi, il mondo sa che Leone XIV non verrà a cambiare tutto con un colpo di spugna. Ma forse ha il coraggio di tornare a ciò che conta: le relazioni, l’ascolto, la comunità. E una fiducia che non si impone, ma si offre.