Dopo la sentenza sui presunti finanziamenti libici l’ex presidente francese parla di ingiustizia e annuncia l’appello: «Più di 10 anni di inchiesta senza prove». La moglie si scaglia contro la stampa, mentre Marine Le Pen denuncia un attacco ai principi dello stato di diritto
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Lafargue Raphael/ABACA
«Dormirò in carcere, ma con la testa alta». Nicolas Sarkozy ha scelto parole nette e solenni dopo la condanna che lo porterà tra pochi giorni dietro le sbarre. Cinque anni, di cui due sospesi, per il caso dei presunti finanziamenti libici alla sua campagna elettorale del 2007. Una vicenda che per oltre dieci anni ha tenuto banco nella politica francese e che ora, con il verdetto del tribunale di Parigi, si traduce in una condanna senza precedenti per un ex capo di Stato della Quinta Repubblica.
La sentenza è arrivata dopo anni di indagini, milioni di euro spesi in rogatorie internazionali e migliaia di pagine di dossier. Un’inchiesta lunga e complessa, che il tribunale ha definito priva di prove definitive sui presunti flussi di denaro dalla Libia di Muammar Gheddafi verso la campagna di Sarkozy. Ma nonostante ciò, l’ex presidente è stato giudicato colpevole di corruzione e finanziamento illecito. «Io sono innocente. Questa ingiustizia è uno scandalo. Non mi accuserò mai di qualcosa che non ho commesso. Naturalmente farò appello», ha detto Sarkozy uscendo dall’aula, circondato da telecamere e microfoni.
La scena fuori dal palazzo di giustizia ha restituito un’immagine surreale. Carla Bruni, visibilmente provata, ha perso la calma e ha strappato il coprimicrofono di Mediapart, la testata che nel 2012 fece esplodere il caso con le prime rivelazioni. Il gesto è stato letto come il segno di un clima di esasperazione attorno a una vicenda che ha logorato la coppia e che ora esplode con una condanna destinata a fare storia.
Sarkozy ha ribadito la sua posizione con toni che hanno scosso la politica francese: «Quello che è successo oggi, in quest’aula di tribunale, è di una gravità estrema per lo stato di diritto, per la fiducia che si può avere nella giustizia. Più di dieci anni di inchiesta, milioni di euro spesi per cercare un finanziamento libico che il tribunale ha detto di non essere riuscito a trovare». Parole che suonano come un atto d’accusa contro i giudici e che aprono un fronte politico e istituzionale delicatissimo.
L’ex presidente non ha nascosto il dolore personale per quella che considera un’umiliazione imposta dai suoi nemici politici. «Quelli che mi odiano fino a questo punto hanno voluto umiliarmi. Ma è la Francia che hanno umiliato», ha affermato davanti alle telecamere, trasformando la sua vicenda giudiziaria in una battaglia simbolica.
La reazione politica non si è fatta attendere. Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, ha preso subito posizione contro la sentenza: «Al di là della persona dell’ex presidente Nicolas Sarkozy, la negazione del doppio grado di giurisdizione attraverso la generalizzazione dell’esecuzione provvisoria della pena rappresenta un grande pericolo, nei confronti dei grandi principi del nostro diritto, primo fra tutti la presunzione di innocenza». Una dichiarazione che rilancia il dibattito su un tema sensibile in Francia, dove la giustizia è spesso accusata di avere tempi infiniti e decisioni di forte impatto politico.
L’affaire Sarkozy si intreccia con i fantasmi del passato francese. Le ombre della Libia, la caduta di Gheddafi, le reti internazionali di finanziamento e il sospetto che il potere politico abbia potuto intrecciarsi con regimi autoritari hanno pesato come macigni su tutta l’inchiesta. Ma il tribunale stesso ha riconosciuto di non essere riuscito a trovare la prova regina: un paradosso che alimenta le accuse di Sarkozy e che accende ancora di più il dibattito sullo stato di diritto.
Intanto, a Parigi, le reazioni si dividono. Da un lato c’è chi esulta per una condanna vista come il segno che nessuno, nemmeno un ex presidente, è al di sopra della legge. Dall’altro chi teme un precedente pericoloso, in cui il simbolo pesa più delle prove. La Francia osserva, divisa e inquieta, consapevole che la vicenda non si chiuderà con l’ingresso in cella di Sarkozy, ma proseguirà nei prossimi gradi di giudizio e nell’arena politica.
Sarkozy, da parte sua, promette battaglia fino all’ultimo respiro. «Se vogliono che io dorma in carcere, lo farò. Ma con la testa alta. Continuerò a combattere per la mia innocenza». Una frase che segna l’inizio di un nuovo capitolo, più drammatico di una carriera politica già segnata da luci e ombre. E che rischia di trasformare la sua figura da ex presidente a simbolo di un conflitto senza fine tra politica e giustizia in Francia.