Dopo giorni di voci, tensioni e ipotesi di rottura, il sindaco ottiene il via libera del Partito a continuare il mandato fino alla fine. Sbloccato il nodo San Siro: il voto sullo stadio slitta a settembre. Il primo cittadino rilancia con un piano ambizioso su casa, mobilità e città pubblica. E ora punta a ricucire con la sua stessa maggioranza
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Il sindaco di Milano Giuseppe Sala
Alla fine, il bivio ha portato verso la continuità. Beppe Sala resterà sindaco di Milano fino alla primavera del 2027, come previsto. Lo fa dopo aver sfiorato le dimissioni, valutate concretamente e scritte nero su bianco in una bozza rimasta sulla scrivania di casa, accanto al discorso alternativo, quello poi scelto: il rilancio.
Ieri, il faccia a faccia risolutivo con il Partito Democratico, durato oltre due ore, ha avuto esito positivo. La delegazione dem – composta da Silvia Roggiani, segretaria regionale, Alessandro Capelli, segretario metropolitano, e Beatrice Uguccioni, capogruppo in Consiglio – ha dato il proprio sostegno al sindaco, ma ha anche consegnato una lista chiara di richieste. Il Pd non si è limitato a blindare Sala: ha preteso un cambio di rotta, o almeno di metodo.
La parola d’ordine è “ascolto”. Il secondo mandato di Sala, secondo i dem, non può concludersi come un monologo. Serve un nuovo patto con la città e con la maggioranza che lo sostiene. Più confronto, più coinvolgimento, meno decisioni solitarie. Meno verticalità e più partecipazione.
Il sindaco ha accolto le richieste. O almeno ha garantito che ci proverà. Del resto, per ottenere il via libera a continuare, ha dovuto concedere qualcosa. A partire dal rinvio della discussione su San Siro. Sala voleva chiudere tutto entro luglio, firmare la cessione dell’impianto a Inter e Milan prima della pausa estiva. Ma il Pd ha chiesto di fermarsi: troppe incognite, a partire dalle indagini della magistratura sul progetto e sul ruolo di figure chiave dell’amministrazione.
La posta in gioco, del resto, è altissima. Perché Milano non è solo una grande città: è il laboratorio politico del centrosinistra italiano. È la vetrina su cui si misurano ambizioni, tensioni e visioni diverse. Se cade qui il modello Sala, si aprono crepe potenzialmente pericolose anche per i livelli superiori. È questo il sottotesto che molti, ieri, hanno percepito nel silenzio trattenuto di un sindaco sempre più consapevole del ruolo simbolico che la sua amministrazione ha assunto, suo malgrado, nello scacchiere nazionale.
La crisi aperta dal caso Tancredi, del resto, ha avuto l’effetto di un detonatore. L’inchiesta ha toccato il cuore dell’urbanistica milanese, quel fronte su cui Sala ha costruito in parte il suo secondo mandato, promettendo rigenerazione, sostenibilità e riequilibrio sociale. Il problema è che, tra piani contestati, aumenti record degli affitti e accuse di autoreferenzialità, la narrazione si è progressivamente incrinata. I comitati di quartiere protestano, i giovani non trovano casa, gli investitori si muovono con logiche che sfuggono al controllo pubblico. E il centrosinistra, intanto, si è ritrovato a inseguire, spesso diviso.
In questo contesto, la richiesta del Pd di “segnali di cambiamento” non è un ultimatum formale, ma una necessità reale per non perdere contatto con l’elettorato. Il modello Milano può ancora funzionare, ma ha bisogno di essere corretto, resettato in alcuni passaggi. Lo ha detto con chiarezza Alessandro Capelli: “Non si tratta solo di appoggiare un sindaco, ma di costruire insieme una fase nuova, che affronti in modo concreto le nuove diseguaglianze che stanno emergendo in città”.
Perché sotto la superficie patinata dellaMilano che corre – quella delle piste ciclabili e dei grattacieli, degli eventi e dei rendering – si agitano tensioni profonde: l’esclusione dai circuiti dell’abitare, il disagio educativo in alcune periferie, la fatica crescente di chi cerca servizi sociali all’altezza. Ed è proprio su questi fronti che la prossima fase amministrativa si giocherà, più che sui grandi progetti di trasformazione urbana.
Non è un caso che il sindaco, nel suo discorso, insisterà sulla “città pubblica” come nuovo asse politico. Una formula che, nelle sue intenzioni, deve contenere la promessa di un ritorno alla dimensione sociale dell’amministrare. Non solo sviluppo, ma anche redistribuzione. Non solo investimenti, ma equità. Un messaggio rivolto anche all’interno del suo stesso elettorato, dove non mancano voci critiche pronte a sottolineare quanto, in questi anni, la macchina comunale sia apparsa spesso sbilanciata verso l’efficienza più che verso l’inclusione.
Il nuovo assessore alla Rigenerazione urbana, che sarà nominato a stretto giro, dovrà incarnare questo cambiamento di paradigma. Dovrà essere figura inattaccabile, certo, ma anche capace di mediare tra interessi contrastanti, di dare segnali immediati e concreti. “La scelta sarà rapida ma ponderata – avrebbe assicurato il sindaco ai suoi – serve qualcuno che sappia ascoltare, ma anche decidere”.
Nel frattempo, a Palazzo Marino si preparano a una stagione politica particolarmente intensa. Non solo perché i due anni che restano sono, di fatto, una lunga campagna elettorale, ma anche perché ogni scelta sarà letta come parte della costruzione del futuro post-Sala. E se è vero che il sindaco non potrà ricandidarsi, è altrettanto vero che nessuno, oggi, può permettersi di trascurare la traiettoria finale del suo mandato. Tanto più che, in assenza di una leadership già definita per il 2027, il rischio di un vuoto è concreto.
Ecco perché il Pd milanese si è mosso con cautela ma determinazione. Niente fughe in avanti, nessuna rottura traumatica, ma un messaggio chiaro: sostegno sì, ma a condizione che si apra davvero una fase nuova. “Sala ha un’occasione – confida una fonte vicina ai dem – può chiudere il suo ciclo lasciando un’impronta forte anche sul piano sociale, non solo su quello estetico. Noi siamo pronti a dargli una mano, se capisce che è il momento di cambiare passo”.
Per ora, il dado è tratto. Il sindaco resta, il Pd lo sostiene, la giunta si ricompatta. Ma la tregua è armata. E la città osserva, silenziosa, se questa ritrovata unità saprà davvero tradursi in un cambiamento visibile nelle strade, nei quartieri, nei bilanci familiari. Perché, come Sala sa bene, oggi più che mai Milano non si accontenta delle promesse. Vuole risposte. E le vuole subito.