Il governo Meloni rifiuta ufficialmente gli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale adottati dall’Organizzazione mondiale della sanità nel 2024. Come Trump, anche Schillaci dice no: «Interferenze inaccettabili»
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L’Italia dice no. E lo fa in pieno stile trumpiano. Con una lettera formale inviata il 18 luglio al direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità, Tedros Adhanom Ghebreyesus, il ministro della Salute Orazio Schillaci ha comunicato ufficialmente il rifiuto dell’Italia a recepire gli emendamenti al Regolamento sanitario internazionale (IHR) adottati nel 2024 dall’Assemblea Mondiale della Sanità. Un no senza riserve, che segue di pari passo la posizione già assunta dagli Stati Uniti, con la motivazione comune: la difesa della sovranità nazionale.
«Le notifico il rifiuto di parte italiana di tutti gli emendamenti adottati dalla 77ª Assemblea mondiale della sanità con la risoluzione WHA77.17», scrive Schillaci, citando l’articolo 61 dello stesso Regolamento sanitario. La decisione riguarda in particolare le modifiche che sarebbero dovute entrare in vigore il 19 settembre 2025, a un anno dalla notifica ufficiale.
Ma cosa prevedevano questi emendamenti? Una nuova definizione condivisa di “emergenza pandemica”, una revisione dei meccanismi di allerta globale, un rafforzamento delle misure coordinate per affrontare crisi sanitarie mondiali, e soprattutto l’introduzione del principio di “maggiore solidarietà ed equità” tra gli Stati. Obiettivi ambiziosi, nati anche dal fallimento del precedente tentativo – nel 2023 – di negoziare un accordo pandemico globale.
Eppure, per Roma come per Washington, il gioco non vale la candela.
«Bene la decisione del ministro Schillaci e del governo Meloni di respingere gli emendamenti», ha dichiarato Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. «Da tempo avevamo sollevato perplessità e preoccupazioni in merito a queste modifiche, che avrebbero comportato una riduzione della sovranità nazionale in tema di politiche sanitarie, tra le quali la possibilità dell’Oms di esercitare un controllo sull’informazione in ambito sanitario».
Il riferimento al controllo dell’informazione non è secondario. È una delle accuse più ricorrenti mosse all’Oms da parte dei governi conservatori: quella di poter intervenire troppo pesantemente nei flussi comunicativi nazionali durante una crisi. «Senza contare – ha aggiunto Bignami – che queste modifiche sarebbero state introdotte senza alcun dibattito parlamentare. È inaccettabile».
Una posizione perfettamente allineata con quella americana. Anche negli Usa, l’amministrazione guidata da Donald Trump ha ufficializzato il rifiuto degli emendamenti. Secondo quanto riferito dall’agenzia France-Presse, il Dipartimento di Stato ha ribadito che le modifiche «interferiscono indebitamente con il diritto sovrano degli Stati di sviluppare la propria politica sanitaria».
In una dichiarazione congiunta, il segretario alla Salute Robert F. Kennedy Jr. e il segretario di Stato Marco Rubio hanno rincarato la dose: «Metteremo gli americani al primo posto. Non tollereremo alcuna politica internazionale che violi la libertà di espressione, la privacy o le libertà individuali».
Una mossa, quella italiana, che conferma il pieno allineamento con l’asse sovranista a guida statunitense. Ma che apre anche a una riflessione più ampia sul ruolo dell’Oms e sulle tensioni che attraversano oggi la governance sanitaria globale.
Secondo la Commissione dell’Organizzazione, le modifiche erano necessarie per correggere le lacune emerse durante la gestione della pandemia da Covid-19. E anche se la riforma complessiva è stata poi raggiunta nel 2025 con un accordo globale, gli emendamenti rappresentano comunque uno strumento fondamentale per rafforzare la risposta collettiva alle crisi future.
La realtà però racconta un’Europa spaccata e un fronte occidentale sempre più frammentato. Mentre la Commissione europea e altri Stati membri sostengono il nuovo impianto normativo, Italia e Usa si sfilano. E lo fanno su un punto dirimente: la sovranità.
«Questa scelta non determina alcun cambiamento riguardo la sicurezza sanitaria, che sarà sempre garantita con il massimo livello di rigore, al pari del coordinamento con le altre Nazioni», ha rassicurato Bignami. Ma la sensazione, tra gli osservatori internazionali, è che il segnale sia chiaro: sulle pandemie ognuno farà per sé.
Nel frattempo, fuori dalle stanze diplomatiche, la sfida resta aperta. I prossimi mesi saranno decisivi per capire se la riforma reggerà, e se il concetto stesso di salute globale potrà ancora contare su un coordinamento internazionale, o se prevarrà l’idea di una gestione “nazionale” delle crisi, anche a costo di rallentare le risposte. Con buona pace dei virus, che – come sappiamo – non riconoscono confini.