Il Consiglio di Stato boccia l'affidamento diretto del Festival alla Rai e apre la porta a una gara pubblica per l'organizzazione dal 2026. La tv pubblica resta l’unica in corsa, ma il Comune di Sanremo ora può rinegoziare. E per la rassegna più amata dagli italiani si apre un futuro tutto da scrivere
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Maurizio D’Avanzo
Sanremo non è più il regno esclusivo della Rai. Con un colpo di scena che scuote la storia del Festival, il Consiglio di Stato ha detto no all’affidamento diretto della kermesse alla tv pubblica, confermando la sentenza del Tar della Liguria e aprendo ufficialmente la strada a una gara pubblica. È un verdetto che potrebbe cambiare radicalmente il volto della manifestazione più seguita del Paese.
La notizia arriva come un fulmine a ciel sereno, ma la battaglia legale andava avanti da mesi. La Rai e lo stesso Comune di Sanremo avevano fatto ricorso contro la decisione del Tar, che aveva dichiarato illegittimo l’accordo senza gara tra Palazzo Bellevue e Viale Mazzini. Oggi la sentenza è definitiva: niente più affidamenti diretti, d’ora in poi si fa la gara.
Cosa succede adesso? In teoria la situazione sembra paradossale: la Rai, con la sua proposta tecnica ed economica, è l’unica ad aver presentato un’offerta entro la scadenza del 19 maggio. Ma questo non significa che tutto sia deciso. Il Comune ha ora la possibilità di trattare con la tv pubblica in un vero e proprio negoziato, dove nulla è più scontato.
Gli occhi di tutti sono puntati su Carlo Conti, nuovo direttore artistico e conduttore delle prossime due edizioni, e sulla squadra di dirigenti che lavora dietro le quinte. Ma stavolta, oltre ai riflettori e ai brani in gara, sul palco di Sanremo salirà anche la politica: la rinegoziazione dell’accordo con la Rai rischia di trasformarsi in un braccio di ferro tra esigenze artistiche e interessi economici.
La sentenza segna uno spartiacque. Il Festival, che finora era sempre stato considerato “cosa nostra” dalla Rai, ora diventa un affare pubblico. E non solo per la tv: ci sono i diritti, i marchi e tutto quel mondo parallelo di eventi, sponsor e retroscena che fanno di Sanremo un vero e proprio business.
Il Comune di Sanremo, forte di questa decisione, potrà ora chiedere condizioni più vantaggiose: più soldi, più trasparenza, più garanzie per la città. E la Rai, dal canto suo, dovrà fare i conti con la concorrenza potenziale di altri operatori che potrebbero farsi avanti in futuro. Perché se oggi la tv pubblica è sola, domani chissà.
Intanto la macchina organizzativa non si ferma. Carlo Conti e il suo staff sono già al lavoro per l’edizione 2025, che non è in discussione. Il Festival, almeno per il prossimo anno, resta alla Rai. Ma il futuro è un’incognita: dal 2026 in poi, la “gara per la musica” non sarà più solo una metafora.
La politica, dal canto suo, osserva con attenzione. La Rai resta un patrimonio pubblico, ma la sentenza ricorda a tutti che anche il Festival più amato dagli italiani deve rispettare le regole della concorrenza. E se l’idea di un Sanremo “multicanale” sembra ancora fantascienza, la certezza è che la gestione della rassegna canora più seguita del Paese non potrà più essere una questione riservata a pochi.
Mentre la Rai si prepara a trattare e il Comune di Sanremo studia le carte, il pubblico resta a guardare. I fiori dell’Ariston continueranno a sbocciare, ma dietro la scenografia scintillante si apre una partita tutta da giocare. E questa volta, a differenza delle canzoni, non si tratterà solo di note e melodie, ma di milioni di euro e di potere.
Sanremo, la città dei sogni, si risveglia così: con un verdetto che riscrive le regole e una gara che promette scintille. Perché, come diceva il vecchio slogan, Sanremo è sempre Sanremo. Ma adesso sarà anche – e soprattutto – una gara vera.