Il 37% degli adulti italiani tra 25 e 64 anni non supera il livello minimo di alfabetizzazione. Solo il 15% dei figli di genitori senza diploma riesce a completare le scuole superiori. Investimenti fermi al 3,9% del Pil, lontani dal 4,7% Ocse
Tutti gli articoli di Italia Mondo
PHOTO
In Italia quasi quattro adulti su dieci faticano a leggere e comprendere testi di media complessità. Un dato impressionante che colloca il nostro Paese ben al di sotto della media Ocse. È quanto emerge dal rapporto Education at a glance 2025, che denuncia il ritardo cronico del sistema educativo nazionale. Il 37% degli italiani tra i 25 e i 64 anni ha un livello di alfabetizzazione pari a 1 o inferiore: significa riuscire a orientarsi solo in testi molto brevi, con informazioni minime e senza distrazioni. In media, nei Paesi Ocse, la percentuale è più bassa, al 27%.
La debolezza dell’istruzione italiana non si limita alla capacità di comprensione. Si riflette soprattutto sull’ascensore sociale, che di fatto resta fermo. Solo il 15% dei ragazzi con genitori senza diploma riesce a completare il ciclo di studi secondario. Il confronto con chi proviene da famiglie più istruite è impietoso: il 63% dei giovani con almeno un genitore laureato consegue a sua volta un titolo. Il divario italiano è di 48 punti percentuali, più alto della media Ocse (44 punti).
Il rapporto sottolinea che, se da un lato diminuisce la quota di giovani adulti senza diploma – dal 24% del 2019 al 19% del 2024 – dall’altro i progressi restano troppo lenti. La media Ocse è ferma al 13%. Ancora più evidente il ritardo negli studi universitari. In Italia solo il 20% delle matricole sceglie di prendersi un anno sabbatico prima di iscriversi, contro il 44% della media Ocse. Un dato che riflette un approccio diverso, meno flessibile, al percorso di studi.
Le donne, tradizionalmente più costanti nello studio, in Italia registrano numeri inferiori rispetto al resto dell’area Ocse. Qui il 61% delle iscritte completa il percorso triennale, contro il 51% degli uomini: un divario di 10 punti, ma comunque dodici in meno della media internazionale. Il rischio di abbandono resta alto: circa il 13% delle matricole italiane lascia l’università dopo il primo anno, in linea con la media Ocse. A incidere, secondo il rapporto, sono l’assenza di un orientamento adeguato e un sostegno insufficiente nella fase di transizione.
Un capitolo a parte è quello della pandemia. Il Covid ha avuto un effetto paradossale sugli studenti universitari italiani: i tassi di completamento dei trienni, previsti per il 2020, sono aumentati di 17 punti rispetto a tre anni prima, passando dal 21% al 37%. Un incremento attribuito a politiche emergenziali che hanno facilitato la chiusura dei percorsi formativi. Altro punto critico è la mobilità internazionale. Mentre in tutta l’area Ocse cresce la percentuale di studenti stranieri, in Italia si registra un calo: dal 5,6% del 2018 al 4,8% del 2023. A frenare, secondo gli analisti, sono la scarsa attrattività del sistema e le difficoltà burocratiche.
Il nodo centrale resta però quello degli investimenti. L’Italia destina all’istruzione, dal livello primario a quello terziario, il 3,9% del Pil, contro il 4,7% della media Ocse. Un differenziale che pesa su strutture, programmi e qualità complessiva del percorso scolastico. Nonostante questo, le tasse universitarie rimangono identiche per studenti italiani e stranieri, senza differenziazioni, a differenza di quanto avviene in altri Paesi dove i fuori sede pagano molto di più.
Il quadro tracciato da Education at a glance 2025 non lascia spazio a interpretazioni ottimistiche. Il sistema scolastico italiano continua a produrre disuguaglianze e a restare indietro sugli standard internazionali. In un Paese dove la percentuale di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è strettamente legata al livello di istruzione, la fotografia dell’Ocse è più che un campanello d’allarme: è la conferma che il futuro passa, inevitabilmente, dalle aule scolastiche.

