Power-up (oggetti che danno più potenza al giocatore), rampe, percorsi folli e persino una mappa dedicata alle barriere architettoniche, «per far capire con leggerezza cosa significa incontrarle ogni giorno». È il videogioco “The handYcapped”, un arcade racing 3D in stile Mario Kart i cui protagonisti digitali sono in carrozzina.

A crearlo, il 26enne Silvio Binca, fondatore dell'omonima associazione no-profit, affetto da una malattia genetica rara, la desminopatia, «che col tempo mi ha portato a usare la carrozzina, un respiratore 24 ore su 24 e la Peg per nutrirmi».

Obiettivo dell'associazione «è raccontare la disabilità in modo diverso: non come un limite, ma come un'occasione per creare, per unire le persone e per generare consapevolezza».
La storia di Silvio, che vive a Massarosa (Lucca), è raccontata sull'ultimo numero del “Bullone”, il mensile dell'omonima Fondazione no-profit che valorizza adolescenti e giovani adulti che vivono o hanno vissuto l'esperienza di malattie gravi o croniche.

«C'è stato un periodo - racconta - in cui pensavo che tutto fosse finito, poi ho capito che potevo ancora fare tanto, solo in modo diverso. Ho smesso di chiedermi “perché a me?” e ho iniziato a chiedermi “ok, e adesso cosa posso inventarmi?”».

«Adoro creare, innovare e, soprattutto sorprendere - sottolinea -. Che sia attraverso un post ironico o un progetto rivoluzionario, il mio obiettivo è lasciare il segno. Ah, e amo la montagna, la pizza e i videogiochi. Amo tutto ciò che riguarda la comunicazione, il design e la tecnologia, e sono un appassionato di videogiochi, marketing e progetti creativi. Mi piace parlare di disabilità senza filtri, con ironia e realismo, perché penso che solo così si possa davvero cambiare prospettiva. Da questa idea è nata The handYcapped, la mia associazione no profit che si occupa di progetti concreti, libri per bambini, eventi inclusivi».

Quello del videogioco è per Silvio «un sogno che si è realizzato». «The handYcapped - continua Silvio - non vuole “ispirare” nessuno. Vuole solo cambiare la narrazione: smettere di parlare di limiti e cominciare a parlare di opportunità, di creatività, di persone vere. Perché dietro ogni disabilità c'è una mente che corre — anche se le gambe no. La parte più difficile non è il gioco, ma la vita reale. Quando devi fare i conti con una burocrazia infinita, un mondo che non è pensato per te, e un corpo che non ti segue sempre. Ci sono giorni in cui tutto è complicato, certo. Ma ho imparato che accettare non significa arrendersi, e che anche le giornate peggiori possono diventare carburante per creare qualcosa di bello».