Tutti i partiti (anche la Lega) in piazza a Roma per Navalny: la fiaccolata italiana per il dissidente russo morto in carcere
VIDEO | Organizzata dal leader di Azione Carlo Calenda la manifestazione ha visto anche la partecipazione del capogruppo del Carroccio al Senato. Ma non sono mancate le contestazioni per la tardiva e poco convinta adesione
In piazza per chiedere chiarezza sulla morte di Navalny. Il partito di Calenda, Azione, ha proposto una fiaccolata, riuscendo a fare un vero e proprio miracolo che ha visto aderire l’intero Parlamento.
Solo una voce è uscita dal coro ed è quella del consigliere regionale del Carroccio in Emilia Romagna, Stefano Bargi che la definisce una «fiaccolata ipocrita».
Al Campidoglio delle opposizioni erano presenti il promotore di Azione, Carlo Calenda, ed Elly Schlein, segretario del Pd. Mancavano all’appello il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, Giuseppe Conte per il M5S, Salvini per la Lega e Tajani per Fi, anche se della maggioranza sono intervenute diverse delegazioni, tra cui il capogruppo della Lega al Senato, Massimiliano Romeo, che sulla scia creata dalle dichiarazioni di Bargi è stato contestato con il grido di “vergogna!”. Ha dichiarato: «Siamo qui non per fare polemica ma per partecipare alla fiaccolata». Alla domanda su chi abbia ucciso Navalny la risposta è stata questa: «Come a tutti abbiamo anche noi un sospetto, ma aspettiamo le risultanze delle corti internazionali».
Dal canto suo Calenda ha dichiarato di essere in pizza «per Navalny e per la libertà». E a chi ha accennato al prof Orsini e alle sue continue frecciate ha risposto: «È già al suo 400esimo tweet, lo lascio lì». La Schlein sulla morte di Navalny ha detto: «È doveroso soffermarsi su quanto accaduto. La responsabilità è chiara, è politica ed è del regime di Putin».
Il 16 febbraio scorso, secondo quanto dichiarato dall'Ufficio del servizio penitenziario federale russo per l'Okrug autonomo (oblast federale autonomo della Russia dal 2014) Yamalo-Nenets ha annunciato la morte del dissidente politico Alexei Navalny. Secondo Interfax (agenzia di stampa russa) si sarebbe sentito male dopo una passeggiata, perdendo conoscenza quasi immediatamente. Secondo un rapporto citato dall’Agenzia, si sarebbe fatto il possibile per rianimare l’unico oppositore di Putin, ma nulla avrebbe funzionato perché troppo tardi. La cosa più sconcertante è che stando alla stampa locale, la famiglia e i sostenitori del politico non avrebbero ricevuto conferma della sua morte.
Dopo l’annuncio che ha lasciato attonito il mondo intero, molti giovani sostenitori e appartenenti al movimento creato da Navalny hanno provato a manifestare pacificamente per le strade di Mosca omaggiando la scomparsa del politico con dei fiori, ma dal regime autoritario dello Zar questo non è stato apprezzato e oltre 400 persone sarebbero state arrestate.
Senza contare che il corpo non è stato ancora consegnato alla famiglia e non si sa che fine abbia fatto. Addirittura si ipotizza che l’uomo possa essere stato ucciso prima del 16 febbraio e il Cremlino per azzittire le voci dichiara che il corpo è ancora in mano alle autorità russe per ulteriori accertamenti e approfondimenti che spieghino la morte del dissidente.
Chi era Navalny
Aleksej Naval'nyj è rimasto il principale politico dell'opposizione in Russia anche in prigione, dove ha trascorso gli ultimi tre anni e da dove ha continuato a parlare di argomenti scomodi per le autorità russe.
Per quasi 10 anni, dall'omicidio di Boris Nemtsov, Aleksej Naval'nyjè rimasto il principale oppositore russo. Lo hanno perseguitato, hanno cercato di avvelenarlo, spaventarlo e costringerlo a lasciare il Paese. Ma ha continuato a denunciare la corruzione del regime di Vladimir Putin.
Il Cremlino ha scelto pubblicamente di ignorare le indagini di Navalny e della sua squadra. Per anni Vladimir Putin non ha chiamato per nome il leader dell’opposizione russa, appellandolo solo con “quest’uomo” o “questo cittadino”.
Nell'agosto 2020 hanno tentato di avvelenarlo durante un volo da Tomsk. L’aereo con a bordo il politico era atterrato a Omsk, i medici lo indussero in coma farmacologico e i parenti lo trasferirono alla clinica Charité a Berlino. Diversi laboratori europei hanno concluso che Navalny era stato avvelenato con l’agente nervino Novichok. Dopo un ciclo di cure, Navalny che non aveva intenzione di lasciare la politica, decise di tornare in Russia, ma questa decisione gli costò l’arresto all’aeroporto di Mosca.
Il suo arresto diventò motivo di proteste di massa da parte dei suoi sostenitori. Le forze di sicurezza, in quel periodo, dispersero violentemente le manifestazioni in tutta la Russia. Navalny aveva già portato i suoi sostenitori a protestare dopo indagini su larga scala sulla corruzione. Migliaia di persone sono state arrestate e multate e centinaia sono state coinvolte in procedimenti penali.
In pochi sanno che Aleksej Navalny era un avvocato e nel 2011 creò la Fondazione anticorruzione. Nonostante gli arresti e l’allontanamento del loro leader dall’organizzazione, questa starebbe ancora studiando in quale modo i funzionari russi di primo livello riescono ad arricchirsi illegalmente. Dal 2011 fu ripetutamente processato per poi essere condannato in casi penali, che lui e i suoi sostenitori hanno definito inventati.
Nel 2013 si candidò a sindaco di Mosca arrivando secondo. Nel 2014, la Corte russa ritenne Aleksej Navalny e suo fratello Oleg colpevoli di frode nel caso Kirovles. Oleg Navalny ha ricevuto una condanna reale a 3,5 anni, Aleksej ha ricevuto una pena sospesa. Nel 2017, ha tentato di candidarsi alla presidenza della Russia, ma la Commissione elettorale centrale ha rifiutato di registrarlo come candidato parlando di processi in atto a suo carico. Nel 2018, Navalny ha vinto la causa contro le autorità russe presso la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Nel marzo 2022, dopo il suo ritorno, il tribunale ha condannato Navalny a nove anni di colonia a regime generale, accusandolo di frode nella raccolta di donazioni e di oltraggio alla corte. Nell’agosto 2023 è stato condannato a 19 anni di colonia a regime speciale per aver organizzato una “comunità estremista”.