L’intero Paese è precipitato in uno stato d’allerta disperato: sirene, fughe nei rifugi, blackout, pianti di bambini nelle stazioni della metro trasformate in dormitori di fortuna
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È calata la notte, e con essa la furia. Poco dopo l’una, il cielo sopra l’Ucraina si è incendiato: un’offensiva massiccia, coordinata, brutale ha colpito in simultanea le principali città del Paese. Prima uno sciame di droni, poi i missili balistici. I bombardieri strategici russi Tu-160 hanno sorvolato il Caspio, da dove sono stati lanciati missili cruise KH-101. I Kalibr, sparati da terra e dalle navi, hanno seguito con precisione chirurgica i loro bersagli. L’attacco, violentissimo, è durato per ore. È stata la notte più nera dall’inizio dell’invasione.
Ma il tempo di questa strage non è casuale. Solo poche ore prima, da Washington, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump aveva pronunciato parole che risuonano ora come una sinistra benedizione: «Forse è meglio lasciarli combattere per un po’», ha detto, riferendosi a Ucraina e Russia. Parole che segnano una svolta improvvisa rispetto ai suoi reiterati appelli alla pace. Parole che, pronunciate davanti al nuovo cancelliere tedesco Friedrich Merz il quale lo aveva appena definito la «persona chiave nel mondo» per fermare il sangue, hanno aperto uno spiraglio, ma non verso la diplomazia: verso l’abisso.
A Kiev i missili hanno devastato il centro cittadino, colpendo anche una scuola. I droni hanno appiccato incendi a edifici residenziali, mentre un impianto termoelettrico è ancora in fiamme. Ampie zone della capitale sono rimaste senza corrente. A Leopoli, una centrale elettrica è stata distrutta. A Chernihiv, Dnipro, Poltava, le esplosioni si sono susseguite per tutta la notte. L’intero Paese è precipitato in uno stato d’allerta disperato: sirene, fughe nei rifugi, blackout, pianti di bambini nelle stazioni della metro trasformate in dormitori di fortuna.
Quattro morti e 20 feriti (16 ricoverati in ospedale) è il bilancio di un attacco lanciato nella notte dalle forze armate russe su Kiev. Numerosi droni hanno colpito vari distretti della capitale, danneggiando edifici residenziali e infrastrutture (l'energia elettrica è stata interrotta in alcuni quartieri). Molti i cittadini che si sono riparati nei rifugi. Sono stati segnalati anche missili da crociera russi in volo in direzione ovest nelle regioni di Kiev, Vinnytsia, Khmelnytsia, Leopoli e Ternopil. Sul fronte russo sono stati abbattuti sette droni in volo verso Mosca, mentre un altro velivolo ha provocato l'incendio di un'azienda a Engels, nella regione di Saratov.
«Una persona è stata uccisa nella capitale a seguito di un attacco nemico. Secondo gli ultimi dati forniti dai medici, finora sono rimaste ferite 20 persone. 16 di loro sono state ricoverate in ospedale». Lo scrive su Telegram il sindaco di Kiev, Vitalij Klitschko, a seguito del massiccio attacco con droni lanciato nella notte dalle forze armate russe sulla capitale ucraina e che ha colpito vari distretti della città. Lo stesso sindaco ha poi comunicato che il bilancio si è aggravato e i morti sono quattro.
È una rappresaglia. È un messaggio. Putin colpisce duro, nel momento in cui l’Occidente mostra il volto dell’ambiguità. La superpotenza americana, che per anni ha sostenuto Kiev, ora suggerisce di lasciar combattere. Di lasciar scorrere il sangue. Così l’Ucraina affronta da sola la sua notte di fuoco. E l’eco delle esplosioni si mescola con il silenzio pesante della diplomazia. Questa notte lunga, gelida, insanguinata resterà impressa come una delle più buie dall’inizio della guerra. La rappresaglia è solo all’inizio.