Zohran Kwame Mamdani ha solo 33 anni ma sembra uscito da un laboratorio politico della HBO: nato a Kampala, figlio di una regista di culto e di un intellettuale marxista, rapper per passione, socialista per vocazione. E ora, dopo aver sconfitto Andrew Cuomo alle primarie, candidato sindaco della città più ricca (e diseguale) d’America: New York.

Il 1° luglio ha conquistato ufficialmente la candidatura democratica con un secco 56% dei voti. Cuomo, ex governatore dello Stato e volto notissimo dell’establishment, si è fermato al 44%. Una débâcle umiliante. E un segnale chiarissimo: la città che non dorme mai vuole svegliarsi da un incubo di privilegi e rendite. E Mamdani è il volto di questo risveglio.

Ma chi è, davvero, questo ragazzo con la kufiya al collo e la faccia da studente sveglio? La sua biografia sembra scritta da un romanziere newyorkese con il cuore a sinistra. Madre indiana, Mira Nair, regista candidata agli Oscar con Salaam Bombay! e autrice di Monsoon Wedding. Padre ugandese, Mahmood Mamdani, uno dei più rispettati accademici post-coloniali, oggi docente alla Columbia University. A sette anni Zohran arriva a New York, nel Queens. Studia al Bowdoin College, dove co-fonda la sezione di Students for Justice in Palestine. È musulmano praticante, femminista dichiarato, alleato delle comunità nere, e radicale come pochi.

Prima della politica, Mamdani ha indossato un'altra veste: quella di rapper. Si faceva chiamare Mr. Cardamom, come la spezia più speziata. Il suo flow? Un mix di denuncia sociale e ironia nerd, condito da produzioni indie e riferimenti colti. Non è durato molto, ma basta cercare su YouTube per capire che dietro quel microfono c’era già il politico in nuce: ironico, acuto, acceso. Non uno che cerca il consenso: uno che lo smonta.

La sua ascesa politica comincia dal basso, letteralmente. Activist nei movimenti anti-sfratto, consulente per l’edilizia popolare, poi eletto nel 2020 all’Assemblea dello Stato di New York per il 36° distretto, confermato con ampio margine anche nel 2022. Vicino a Bernie Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez, ha costruito la sua reputazione pezzo per pezzo, casa per casa, sfratto per sfratto. E oggi è il portavoce di una generazione che rifiuta l’idea che la povertà sia una colpa e che il sogno americano si compri col mutuo.

Il suo programma è un atto d'accusa all’ordine costituito: trasporto pubblico gratuito, blocco immediato degli affitti, supermercati pubblici con prezzi calmierati, asili nido universali dai sei mesi in su, sostegno massiccio all’edilizia popolare e assistenza sanitaria municipale. La parola d’ordine? Redistribuire. Non accontentare. «Non credo che dovremmo avere miliardari – ha detto in uno dei suoi comizi –. Nessuno diventa ricco senza che altri vengano lasciati indietro».

Basta questo per capire perché Wall Street lo odia. E perché Donald Trump, dopo la sua vittoria alle primarie, ha dichiarato: «Non abbiamo bisogno di un comunista sindaco di New York. Se non collabora con le autorità federali, dobbiamo arrestarlo». Le parole non sono un’iperbole. Il presidente ha minacciato di tagliare tutti i fondi federali alla città in caso di vittoria di Mamdani. L’accusa? Disobbedienza sull’immigrazione. Il candidato ha già detto chiaramente che si rifiuterà di collaborare con l’ICE, l’agenzia per le deportazioni.

Ma Mamdani non ha paura. Non ne ha mai avuta. Lo dimostra anche la sua vita personale: è sposato con Rama Duwaji, artista siriana, 27 anni, conosciuta su Hinge, un'app di incontri. Insieme rappresentano una generazione nuova, globalizzata, decolonizzata. Una coppia che scardina i ruoli e ridisegna le mappe.

Le elezioni si terranno a novembre. Lo sfideranno il repubblicano Curtis Sliwa, fondatore dei Guardian Angels (e personaggio pittoresco), gli indipendenti Jim Walen ed Eric Adams (attuale sindaco in carica), e – forse – lo stesso Cuomo, che potrebbe ripresentarsi come candidato esterno. Un’ipotesi che terrorizza i democratici, perché rischia di spaccare l’elettorato e consegnare la città ai repubblicani. Esattamente il piano di Trump.

Intanto, la stampa conservatrice ha già cominciato a scavare nella vita di Mamdani: tweet vecchi, rime scomode, simpatie per la causa palestinese. Ma ogni attacco sembra rafforzarlo. Sui social è un fenomeno. I suoi video fanno milioni di visualizzazioni. I suoi comizi attirano giovani, vecchi, famiglie intere. La gente lo ascolta perché ha qualcosa da dire. Qualcosa che nessuno dice più.

C’è chi lo chiama pericoloso. Chi lo accusa di volere una città senza proprietà privata. Chi lo definisce «una Ocasio-Cortez al maschile». Ma la verità è che Mamdani ha capito, prima degli altri, che New York ha fame di cambiamento. Fame vera. Fame di pane e di giustizia.

E se davvero diventerà sindaco, sarà il primo musulmano, il primo ugandese, il primo socialista. Ma soprattutto, sarà la prova vivente che, anche nella città dei miliardari, può vincere chi non ha nulla.