Fermi tutti, stavolta Ernesto Magorno ha un alibi

Fino a domenica scorsa, il senatore dem non aveva ancora saputo che il decreto sicurezza di Salvini è diventato legge. Ma dov'era il 28 novembre scorso? Ve lo raccontiamo noi 

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di Francesca  Lagatta
4 dicembre 2018
11:02
Pd, il senatore Magorno
Pd, il senatore Magorno

La fate facile voi, che ve la prendete sempre con il povero Ernesto Magorno, uno che gode di affetto stima negli ambienti governativi, ma che tra non riesce proprio a guadagnarsi le simpatie della gente. Proprio domenica scorsa il nostro direttore Pasquale Motta lo punzecchiava ironicamente nel consueto siparietto di "Whatsapp", pur raccontando un'amara verità: «Se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo perché in questa politica piena di problemi c'è bisogno di un lato comico». Allora noi tutti abbiamo pensato che anche per questa settimana il buon Magorno si fosse accaparrato la sua fetta di polemica settimanale e potesse star tranquillo almeno per i prossimi sette giorni. Macché, nemmeno il tempo di rifletterci su che ecco una nuova, mirabolante saetta si abbatte sul senatore diamantese. All'indomani della tragedia avvenuta nella baraccopoli di San Ferdinando, il dem invia un comunicato stampa alle redazioni per esprimere il suo sdegno. Fin qui, tutto bene, non fosse che in conclusione promette, riferendosi al salviniano decreto sicurezza: «Combatteremo in Parlamento all'atto della conversione in legge del decreto perché questo provvedimento trasuda in giustizia». Che nella teoria è pura un'affermazione condivisibile, non fosse altro che il decreto è legge dal 28 novembre scorso.

Possibile che in 5 giorni il senatore del Partito Democratico non ne abbia sentito parlare, nonostante tutto il chiasso che ha accompagnato la vicenda? Ma soprattutto, dov'era Magorno quella mattina?


Ebbene, noi siamo in grado di mostrarvi le prove che testimoniano come Magorno quella mattina fosse distratto da cose più importanti e certamente improrogabili.

L'alibi di Magorno

Che ci crediate o no, Magorno la mattina del 28 novembre scorso era ad onorare il suo ruolo istituzionale in un'aula del Senato, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Lì, Magorno, ha presenziato al convegno “Tutela del Cedro, un messaggio di pace e rispetto tra i popoli”, da lui fortemente voluto per chiedere, appunto, la tutela dell'agrume sacro agli ebrei coltivato per lo più nella zona del Tirreno cosentino, dove tutt'ora risiede. Per l'occasione gli organizzatori hanno elargito il premio "Cedri d'argento" alla senatrice a vita Liliana Segre, che, per la cronaca, rientra nella top ten degli assenteisti pubblicata a luglio scorso dal M5s.

Capite bene che una giornata così ricca di emozioni avrebbe mandato in tilt anche un monaco tibetano per giorni e giorni, figuriamoci un senatore diamantese che propone la tutela di un agrume prodotto nella sua terra d'origine, tra l'altro già tutelato da una legge regionale. Un atto così nobile, quello di Magorno, che gli ha impedito per tutto il giorno, e per i giorni successivi, di informarsi sulle sorti del decreto sicurezza e quella degli esseri umani coinvolti dallo stesso. 

 

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