La primavera lametina e i 10 anni dell’amministrazione Speranza nel saggio presentato a Napoli
Per la professoressa Gia Caglioti, docente all’Università “Federico II”, il libro è «al tempo stesso un documento e una testimonianza. Tralascia l’ordinarietà della vita di un sindaco e ci racconta l’emergenza»
Il “caso Lamezia”, i dieci anni dell’amministrazione Speranza, un libro che parla «non solo di un’esperienza amministrativa, ma mette in luce una comunità dell’Italia del Sud che ha bisogno di raccontarsi e di essere raccontata». La vicenda di Lamezia Terme, nelle pagine di “Una storia fuori dal Comune” di Gianni Speranza, è stata al centro a Napoli di una iniziativa promossa dall’associazione “Sudd” guidata da Antonio Bassolino.
Un libro «complesso che tratta di un’esperienza complessa» per il giornalista Matteo Cosenza che ha parlato della vicenda amministrativa di Gianni Speranza come di «un’esperienza importante che si inserisce temporalmente tra due scioglimenti del Comune per infiltrazioni mafiose. Questo dato ci dice che, anche dopo una parentesi importante come quella raccontata nel libro, permangono gli stessi nodi che lo stesso Gianni Speranza ha dovuto affrontare nei suoi dieci anni». Cosenza ricorda vari passaggi fondamentali del racconto di Speranza, dalla battaglia per mantenere il tribunale a Lamezia all’impresa di riuscire a portare per la prima volta un lametino alla guida della Sacal, ribadendo come «una città come Lamezia, che rappresenta il cuore della Calabria, non è mai stata oggetto di una visione strategica dalla classe dirigente regionale. Lo sforzo di Gianni Speranza, per tanti versi eroico, è stato quello di ridare centralità a un territorio che aveva ed ha questa vocazione».
Per la professoressa Gia Caglioti, docente all’Università “Federico II” di Napoli originaria di Lamezia, il libro di Gianni Speranza è «al tempo stesso un documento e una testimonianza. Ci racconta dieci anni di Lamezia, tra eventi eccezionali, situazioni di emergenza, eventi emotivamente di grande impatto. È un libro che tralascia l’ordinarietà della vita di un sindaco e ci racconta l’emergenza». Per il parlamentare Arturo Scotto, l’esperienza amministrativa di Speranza «non è l’esperienza di un amministratore qualsiasi, ma quella di una persona di sinistra che ha tentato di costruire un’amministrazione progressista in un contesto difficile. E quando cerchi di costruire un’amministrazione progressista in una realtà dove il mondo progressista è debole, si rischia di restare soli». Con riferimento all’esperienza dell’allora Sel, Scotto riconosce di «non essere riusciti a custodire e ad aiutare Gianni ad uscire da una lunga fase amministrativa che lo aveva consumato» e indica in Speranza «una figura su cui il centrosinistra deve tornare a scommettere e questo libro può dare un contributo al riscatto della sinistra e del Mezzogiorno».
«Questo libro – ha affermato Antonio Bassolino - è una storia fuori dal Comune ma, per me, è anche una storia comune. Non soltanto per i rapporti tra me e Gianni che vengono da lontano ma per le vicinanze dei percorsi amministrativi e politici tra il mio mandato di Sindaco a Napoli e quello di Lamezia. Perciò è interessante discutere». L’uomo politico ha inoltre indicato «in quella perdita dei rapporti umani, di cui Gianni parla nel libro riguardo alla fase successiva alla conclusione della sua esperienza amministrativa, come una delle ragioni della crisi della sinistra nel nostro Paese».
Nel suo intervento conclusivo, Gianni Speranza ha ricordato la vicenda dei netturbini Francesco Tramonte e Pasquale Cristiano, del sovrintendente Salvatore Aversa e della moglie Lucia Precenzano come emblemi di «una comunità, quella lametina, che ha bisogno che venga fatta giustizia». «Questo libro - ha aggiunto, tra l’altro Speranza – racconta un pezzo di storia dell’Italia e del Sud, attraverso lo sguardo, a volte doloroso a volte gioioso, di chi si è trovato a governare, con alterne vicende, per dieci anni. Mi sento fortunato ad aver concluso il mio secondo mandato, nell’ambito di un’iniziativa pubblica, in cui mi trovavo con Rocco Mangiardi, il primo imprenditore che in tribunale puntò il dito contro i suoi estorsori, e con i genitori di Dodò Gabriele, il bambino vittima innocente di ‘ndrangheta a soli 11 anni».