L’Antimafia che diffamò Falcone oggi lo celebra senza vergogna

Personalmente mi rifiuto di partecipare a manifestazioni di celebrazione della memoria di Giovanni Falcone. E ciò perché coloro che celebrano la sua memoria sono gli stessi che lo hanno combattuto e dileggiato in vita. Primi fra tutti la maggioranza di quei paladini dell’Antimafia militante nostrana e nazionale. Ma anche tanti magistrati di quella corrente di magistratura democratica

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23 maggio 2018
16:31

Il 23 maggio, personalmente mi rifiuto di partecipare a manifestazioni di celebrazione della memoria di Giovanni Falcone. E ciò perché coloro che celebrano la sua memoria sono gli stessi che lo hanno combattuto e dileggiato in vita. Primi fra tutti la maggioranza di quei paladini dell’Antimafia militante nostrana e nazionale. Ebbi modo di scriverlo qualche anno fa e lo ribadisco: quell’antimafia, tranne rare eccezioni,  non è degna di stima. Sono i più grandi monumenti dell’ipocrisia di questo paese e, con loro, tutta quella stampa che oggi si alterna nel ricevere premi e riconoscimenti nel nome di Giovanni Falcone. Gli stessi che lo hanno crocifisso nei mesi antecedenti alla sua morte e che non hanno mai riconosciuto di fronte al paese le proprie colpe. Gli stessi che, ieri come oggi, si ritengono i depositari della verità.

Quella stessa  verità che, su Falcone,  è stata sistematicamente manipolata. E così, infatti,  che i fatti sono diventati opinioni e gli infami eroi. Falcone fu bocciato come Procuratore, bocciato come Alto Commissario per la lotta alla mafia, osteggiato nel Tribunale di Palermo se ne andò a Roma per dirigere il Dipartimento della Direzione Penale del Ministero di Grazia e Giustizia, ruolo che gli fu offerto dal Ministro dell'epoca Claudio Martelli. Da quella funzione, costruì la DDA, la DIA e tutti quegli strumenti investigativi che si rivelarono strumenti efficacissimi per contrastare "Cosa Nostra" e tutte le organizzazioni mafiose presenti nel nostro paese. Ma, qualcuno, soprattutto nella Magistratura, oggi, quando lo celebra, quando riceve premi e riconoscimenti nel suo nome, omette quasi sempre di ricordare che, per quelle decisioni, fu indetto addirittura un sciopero nazionale dei Magistrati. Il magistrato Mario Almerighi, amico di Falcone dichiarò che, "in quella vicenda si misero in moto delle piccolezze, delle esigenze localistiche da parte delle Procure della Repubblica che si vedevano espropriate delle miserie".


Si mise in moto l'invidia da parte dei Magistrati sulla possibilità che, la super Procura, potesse essere guidata da Giovanni Falcone, un invidia che, in quei giorni, fece dire ad un Magistrato come Armando Spataro: "si è fatto la Ferrari e ora la vuole guidare lui".  Alfredo Morvillo Magistrato e cognato di Falcone, stanco delle tante ipocrisie provenienti dai ranghi della Magistratura,  arrivò ad affermare che "di tutti i colleghi che hanno osteggiato Giovanni Falcone non c'è n'è stato uno che abbia avuto il coraggio e l'onestà di riconoscerlo e di dire: ho sbagliato".

 

Quell’antimafia che poi sostanzialmente è la stessa di quella di oggi non si risparmiò nell’accusare Giovanni Falcone di tutto e di più. Lo accusarono di essersi venduto ai socialisti, di voler minare l’indipendenza della Magistratura, di essere un arrivista, di tutelare i politici, di essere scappato da Palermo. Gli accusatori furono molti, da Galasso, a Elio Veltri, da Orlando a Flores d’Arcais e tanti,  troppi, colleghi Magistrati della corrente di Magistratura democratica. Al loro fianco la sinistra purista di allora, sostituita dal populismo forcaiolo di oggi.  La stessa gente che fece di Spatuzza  un eroe nazionale. Quei  profeti del processo mediatico a discapito del processo delle prove e, dunque, del Diritto.

Purtroppo l’eterna malattia tutta italiana della memoria corta e della manipolazione della verità, oggi, consacra coloro che hanno diffamato e infamato Giovanni Falcone, quali detentori della memoria del grande Magistrato e, cosa ancora più vergognosa, spesso utilizzando queste celebrazioni per continuare imperterriti nell’emettere le loro sentenze morali e penali al di fuori dei processi. Esattamente l’opposto della cultura giuridica di Giovanni Falcone. Ogni anno, a me, invece, tornano alla mente le parole di  Peppino Ayala, collega di Falcone e suo amico : “noi non dobbiamo soltanto ricordare la storia di Giovanni Falcone che per primo e come nessuno ne prima e forse neanche dopo ha saputo contrastare la mafia, rispettando le regole dello Stato di Diritto, dobbiamo ricordare anche quello che lo Stato di Diritto o meglio alcuni pezzi, hanno fatto contro Falcone”. Personalmente, da giornalista, faccio esattamente ciò.

Pasquale Motta

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