La Boschi a Reggio tra nervosismo e assenze pesanti

Il ministro delle Riforme alla Festa dell'Unità ribadisce le ragioni del “Sì” al referendum sottraendosi però alle domande dei cronisti e tradendo così una certa inquietudine per una battaglia che non pare così scontata
di Riccardo Tripepi
10 settembre 2016
13:38

Niente interviste. L’Ufficio stampa del ministro Boschi è categorico e, con garbo, rispedisce i cronisti davanti al palco della festa regionale del Pd calabrese.


Il ministro per le Riforme, alter ego di Renzi, è disponibile a rispondere soltanto alle domande di Maria Teresa Meli del Corriere della Sera. Sul palco, insieme a loro, il sindaco Giuseppe Falcomatà, il deputato Demetrio Battaglia e il segretario regionale Magorno.



Forse anche questo un segnale del nervosismo che trapela in casa Pd, a tutti livelli, in vista dell’appuntamento con il referendum costituzionale sul quale il premier si gioca tutto. E il cui esito, evidentemente, non è più scontato come poteva sembrare quando Renzi decise di legare il suo futuro politico alla vittoria.


La Boschi, forte del palco amico, ha sciorinato il solito rosario sulle ragioni per il sì. “Senza questa riforma il Paese si blocca” ha detto. E a chi, come la Cgil, ha chiesto un nuovo confronto per una nuova legge, ha risposto. “A costoro voglio ricordare che il dibattito sulle riforme era fermo da 35 anni. Nè mi pare che ci sia una proposta unitaria alternativa alla nostra”.


Nessuna novità sulla data per la consultazione. “Abbiamo tempo per decidere fino al 13 ottobre e non capisco la tensione sul punto. Voglio ricordare, inoltre, che il governo è stato impegnato totalmente dall’emergenza terremoto”.


Per quel che concerne, inoltre, le possibili modifiche alla legge elettorale, che tanto interessano a Verdini e al Nuovo Centrodestra, il ministro ha spiegato: “Noi abbiamo dato la nostra disponibilità a confrontarci sull’Italicum. Abbiamo detto che si puo' cambiare a patto che ci siano i numeri in Parlamento. Questa condizione, però, al momento, non appare praticabile per le diverse opzioni prospettate dalle forze politiche. La Corte costituzionale - ha aggiunto - deciderà autonomamente sull'Italicum. Voglio però sottolineare che questa legge elettorale non è certamente un pericolo per la democrazia perchè, contrariamente al progetto di riforma elettorale approvato dal centrodestra, non cambia i poteri del Governo e del Presidente del Consiglio. Con l’Italicum, infatti, non eleggiamo direttamente il Presidente del Consiglio, bensì la maggioranza del Parlamento che resta in carica per cinque anni. Un lasso di tempo utile per cambiare le cose in un clima di maggiore stabilità”.


E poi il messaggio al nemico numero uno. "D'Alema sottovaluta gli italiani, che non credo non capiscano ciò che stiamo proponendo. Mi auguro che tutto il Pd voti sì al referendum costituzionale, come è avvenuto già in Parlamento sulle riforme”.


Il segretario Magorno si gode lo spettacolo e sprizza soddisfazione per la presenza a Reggio Calabria del ministro. Un segnale, importante forse più per il sindaco Falcomatà o per il presidente del Consiglio Nicola Irto che proseguono la loro ascesa all’interno del partito, che per lo stesso segretario. Magorno, infatti, si sta giocando moltissimo sul referendum costituzionale e si è più volte sbilanciato sull’apporto calabrese. Sempre dallo stesso palco, appena un giorno fa, aveva assicurato: “Anche se in Italia dovesse vincere il no, in Calabria vincerà il sì”.


Il segretario saprà il fatto suo e fa i conti con le promesse di voto. Del resto anche il governatore Oliverio, ex d’alemiano di ferro, ha annunciato il suo sì alla consultazione referendaria.


Eppure. Ieri ad accogliere il ministro Boschi a Reggio non si è visto neanche uno della corrente ex bersaniana del partito. Non c’era il governatore. Non c’erano neanche Carlo Guccione e Nico Stumpo. Entrambi presenti alla festa nella giornata precedente per criticare aspramente la gestione del partito nazionale e regionale. Senza risparmiare fendenti anche alla giunta dei tecnici e a palazzo Alemanni. Non c’era neanche Demetrio Naccari, che pure dovrebbe essere renziano, ma pare sempre più assumere una posizione critica nei confronti del manovratore. Ma non c’era neanche il capogruppo reggino del Pd, uomo di fiducia del governatore, Sebi Romeo. Ufficialmente impegnato ad un’altra festa di partito, ufficiosamente poco convinto del sì al referendum e della guida renziana.


Inevitabile che tra gli stand della festa sul lungomare sia iniziata a serpeggiare la domanda: Ma al momento del voto siamo sicuri che il Pd calabrese risulterà compatto sul sì?

 

Riccardo Tripepi

Giornalista
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