La riflessione

Caso Tallini, mentre la giustizia fa il suo corso la politica dovrebbe fare un passo indietro

Per l'ex presidente del Consiglio regionale e attuale coordinatore provinciale di Fi la Dda di Catanzaro ha chiesto oltre 7 anni di reclusione. Approcciarsi alle elezioni Comunali 2022 in queste condizioni non contribuisce a rasserenare il clima

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di Danilo Colacino
25 novembre 2021
09:33
Domenico Tallini
Domenico Tallini

La richiesta di condanna formulata ieri dalla Dda di Catanzaro, pari a sette anni e otto mesi di carcere per scambio elettorale politico-mafioso, a carico dell'ex presidente del consiglio regionale della Calabria Domenico “Mimmo” Tallini nell’ambito dell’inchiesta Farmabusiness è solo una tappa, seppur importante, del processo per cui peraltro lo stesso Tallini, unitamente a molti altri imputati, ha optato per il rito abbreviato.

Ma se il complesso procedimento penale in cui è coinvolto lo stesso Tallini è un iter giudiziario che, fino all’ultimo grado di giudizio, potrebbe riservare parecchie sorprese, durando inoltre molti anni, non altrettanto può dirsi sul piano politico. Che giusto o sbagliato, sia, è immediato. Un verdetto che dovrebbe quindi far scaturire subito una serie di conseguenze.
E già, perché ci sono momenti e situazioni da cui sul piano etico, prima che giuridico, non si dovrebbe “sfuggire”. E adesso, in attesa che la giustizia faccia il suo corso, sarebbe forse il caso di trarre delle conclusioni.


La più immediata sarebbe probabilmente quella di fare un passo indietro (o almeno di lato) per chi, ancora oggi, è il coordinatore provinciale in carica di Forza Italia. E si badi, non regge a nostro avviso la tesi che le dimissioni suonerebbero come una sorta di ammissione di colpevolezza o, in subordine, una resa. Sarebbero invece da rubricare, al di là di tutto, alla voce: atto di responsabilità. Nessuno dovrebbe infatti giudicare Tallini, o chiunque si trovasse nella sua posizione, al posto dei giudici sotto il profilo dei reati eventualmente commessi. Ma ben altro discorso è una disamina politica, magari partendo dal presupposto che non si dovrebbe ad esempio gestire (il condizionale è d’obbligo nella fattispecie, considerato come non sia previsto alcun divieto legislativo) una campagna elettorale come quella - ormai sempre più imminente - per le Amministrative del capoluogo da una postazione importante - anzi, chiave - se c’è un sospetto (allo stato più o meno di questo parliamo, per carità) di una colpa grave come l’ancora presunta intesa con una consorteria malavitosa della mafia più potente al mondo.

Certo, la storia di Tallini e Fi sembra da tempo arrivata al capolinea. E per motivi non necessariamente riconducibili all’affaire Farmabusiness. Ma una cosa sono le sensazioni e tutt’altra le certezze. E qui di sicurezze sembrano essercene poche. Molto poche. Soprattutto in vista di una tornata elettorale che si annuncia assai delicata per tante ragioni. Il rischio infatti è che determinate ombre si proiettino su una città al centro di molte trame oscure, in merito basti riguardarsi la recentissima puntata di Report su Raiplay, in cui una rete di insospettabili sarebbe al completo servizio di poteri marci e corrotti. Un tremendo mosaico in cui, quindi, non si sente il bisogno di aggiungere ulteriori elementi di “confusione”. Ci pensino allora i diretti interessati, pur innocenti fino a sentenza definitiva, considerato come non sarà il numero delle liste a fare la differenza all’interno degli schieramenti bensì la credibilità dei singoli candidati al loro interno in ragione della lontananza da determinati ambienti, non unicamente ‘ndranghetistici sia chiaro, nell’auspicio che sui Tre Colli, grazie al lavoro incessante della Procura catanzarese, si inizi a respirare un’aria nuova, fresca e pulita, e vengano finalmente assicurati alla giustizia la parte compromessa di classe dirigente e la pletora di faccendieri e affaristi del sottobosco locale.

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