Elezioni politiche 2022

Catanzaro, Donato pronto a entrare nel partito di Calenda. E Celia (Pd) si appella a Letta: «No a candidati “forestieri”»

Il leader dell’opposizione comunale si appresta ad aderire ad Azione con il suo gruppo di fedelissimi. Una scelta che ridisegna gli equilibri in Consiglio e rimescola le carte in piena campagna elettorale

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di Danilo Colacino
11 agosto 2022
09:56
Valerio Donato
Valerio Donato

Catanzaro, come più volte scritto da LaC, si sta muovendo tanto a destra quanto a sinistra per non restare di nuovo alla finestra mentre le altre città della Calabria fanno “asso pigliatutto” in termini di candidature condivise, cariche e posti al sole di vario genere. Ecco allora che in cima ai Tre Colli si pensa a una nuova (ri)strutturazione come nel caso, ad esempio, del fronte di Valerio Donato, ormai di fatto accordatosi con Azione, il partito di Carlo Calenda.

Il patto ricompatta non tanto la coppia (comunque a prova di bomba) formata da Donato e Gianni Parisi nell’assise di Palazzo De Nobili quanto i componenti di un gruppo molto più ampio composto anche da chi non è stato eletto come ad esempio l’aspirante consigliere comunale Antonio Talarico (da poco transitato in Italia Viva, dove ha peraltro trovato colleghi quali Francesco Viapiana e Daniela Rotella per citare qualche nome). Senza contare che in un momento successivo potrebbero essere della partita pure i fratelli Guerriero, Fabio e Roberto, oltre ad altri professionisti e autorevoli membri della società civile che alle Amministrative 2022 hanno appoggiato la coalizione donatiana contro il poi eletto sindaco Nicola Fiorita.


Simpatizzanti e attivisti che adesso, sia nel caso di adesione al partito di Calenda sia a quello di Matteo Renzi, si ritroveranno fianco a fianco nella battaglia per le elezioni nazionali del prossimo 25 settembre e poi magari chissà anche nel nascente Grande Centro di cui tanto si favoleggia, ipotizzando un ritorno a un periodo storico in cui erano i moderati a essere sempre determinanti per le vittorie nelle urne e la formazione dei Governi.

Comunque sia, l’ingresso del fu capo di Rinascita e dei suoi fedelissimi nelle file calendiane dovrebbe a breve essere ufficializzato con un comunicato stampa frutto anche dell’interlocuzione con il coordinatore regionale di Azione Fabio Scionti. Sentito sul punto da LaC, venerdì scorso, con la conferma di un dialogo molto proficuo tra lui e lo stesso Donato e l’esclusione della tesi che accreditava anche un’ipotesi di candidature per Camera o Senato all’interno della squadra del prof. Detto questo, però, c’è anche chi si sta dando parecchio da fare nel Pd, pur come ovvio non avendo alcuna intenzione di cambiare casacca. Anzi, semmai il contrario.

È il caso del segretario cittadino, Fabio Celia, il quale nelle scorse ore ha esternato il suo pensiero sul metodo che dovrebbe seguire il leader Enrico Letta nello scegliere i candidati ai seggi parlamentari. Celia, a riguardo, si è detto per nulla in accordo con eventuali giochetti tendenti a catapultare “forestieri” nelle liste da Roma. Gente, pur di spessore, ma che magari avrebbe difficoltà a farsi eleggere nel territorio di riferimento o in altri limitrofi.

Figure che poi – è il timore di Celia – dopo aver ottenuto il risultato sperato, addirittura si dimenticano delle aree dove lo hanno conseguito. Una dichiarazione molto netta, dunque, da parte di un dirigente locale, che francamente finora non le ha mandate a dire ai vertici Democrat. Ma, al di là di questa specifica presa di posizione, il ritornello come premesso sembra identico in ogni schieramento. Un refrain che in sostanza dice basta ad “autopromozioni” del tutto fuori luogo, perché autoreferenziali e prive di criteri logici e politici. E soprattutto vuol stoppare scelte calate dall’alto che mortificano i territori e quanti vi lavorano quotidianamente per il bene di un partito. Il tempo dell’improvvisazione pare dunque essere finito in cima ai Tre Colli per lasciare spazio a una strategia più articolata in modo da non dover più essere una colonia. Perché va da sé che rappresentanti “deboli” o estranei al contesto in nessun modo possono contribuire a render la città più forte e coesa. Capace insomma di contare su chi può battere i pugni sui tavoli del potere capitolino.  

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