Catanzaro, l’inchiesta sull’ex assessore di Abramo che imbarazza il consigliere di Callipo

Al centro della vicenda che coinvolge il politico, la gestione della piscina comunale e dei campi da tennis, nonché l’assunzione della figlia, Cristina nelle file dell’associazione sportiva. La donna, successivamente, venne nominata segretaria del consigliere regionale Pitaro

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di Alessia Bausone
24 luglio 2020
06:48
Giampaolo Mungo
Giampaolo Mungo

I cittadini del capoluogo calabrese hanno avuto modo di conoscerlo, Giampaolo Mungo è stato assessore allo sport nella terza amministrazione della città di Catanzaro a guida Sergio Abramo (nel periodo da febbraio 2013  fino a marzo 2014 e da gennaio 2016 fino al luglio 2017) e di assessore all’ambiente nella giunta “Abramo quater” (nominato il 12 luglio del 2017 rimase in carica fino a fine novembre dello stesso anno quando rassegnò le dimissioni).

 


È stato, inoltre, co-fondatore nel gennaio 2016 del Movimento “Officine del Sud” insieme a Claudio Parente (e da questi indicato come assessore comunale), il già capogruppo di Forza Italia in consiglio regionale e coordinatore della lista “Casa delle libertà” alle ultime elezioni regionali, con l’intermezzo dello scandalo di Villa Torano in pieno lockdown finito su Report.

 

Oggi Mungo è indagato dalla Procura di Catanzaro per traffico di influenze con l’accusa di aver sfruttato, quando era assessore comunale allo sport, la sua rete di relazioni all’interno degli uffici del Comune di Catanzaro e della municipalizzata Catanzaro Servizi, utilizzando la sfera di influenza derivante dalla sua carica, svolgendo un ruolo determinante nell’affidamento di due impianti sportivi e ricevendo utilità in denaro, tant’è che il Gip di Catanzaro Claudio Paris su richiesta del sostituto procuratore Graziella Viscomi ha sequestrato in via preventiva 15.000 euro dai conti dell’ex assessore pochi giorni fa.

Dimissioni tra lacrime e silenzi

Tornando indietro di due anni e mezzo, però, si ricorderà quanto fu nebulosa l’uscita di scena dalla politica del capoluogo con una coltre di silenzi ed omertà.

Il giorno prima delle dimissioni, il 23 novembre 2017, Mungo venne visto uscire piangendo dal Comune di Catanzaro. Il giorno dopo, il direttivo di “Officine del sud” spiegò pubblicamente che il motivo delle dimissioni appena rese era «la sequela di attacchi personali che Mungo sta subendo da quando ha assunto la delega all’ambiente che lo hanno fortemente prostrato e su cui si riserva ogni azione». «Nessun motivo politico dietro le mie dimissioni. Ho subito ingiustamente troppi attacchi, ma continuerò il mio impegno politico col Movimento Officine del Sud di Claudio Parente» aggiunse Mungo con una postilla che anche il più smaliziato osservatore, oggi, ricollegherebbe all’inchiesta in corso, «Ho servito la città, non me ne sono servito».

Il centrosinistra dice e non dice

L’opposizione in consiglio comunale a Catanzaro (formata all’epoca dal movimento FarePerCatanzaro, Cambiavento e dal PD) in un’assise infuocata del 27 novembre 2017 tuonò: «È evidente che le parole di Mungo, il silenzio del sindaco e le tiepide giustificazioni del capo del movimento di riferimento a Mungo non convincono, si contraddicono. Non vogliamo dare forma ad una vicenda che è oramai sulla bocca di tutti, a questo ci penseranno per fortuna altri, sempre che le reticenze ed i silenzi non prevalgano sulle coscienze facendo dimenticare i ruoli».

 

Lo stesso ex vicepresidente del consiglio regionale Enzo Ciconte, candidato sindaco del PD nell’estate 2017, in una delle sue poche apparizioni in consiglio, prima della conversione della sua lista “Svolta Democratica” in “svolta occhiutiana”, in quella sede incalzò  Abramo invitandolo a «fare chiarezza sulle voci che si sentono in giro sull’assessore Mungo».

 

Nel successivo consiglio comunale del 18 dicembre  l’altro candidato sindaco civico Nicola Fiorita incalzò Abramo: «è indubbio che il mistero intorno alle sue dimissioni di Mungo diventa sempre più fitto e che il sindaco Abramo, intervenuto solo a molte ore di distanza dal fatto con una dichiarazione stringata, dovrebbe spiegare una volta per tutte perché  Mungo si è dimesso».

 

Il primo cittadino, però, ci mise due consigli comunali ancora per rispondere ad opposizione ed opinione pubblica, il 16 gennaio 2018 dichiarò: «Mungo non  è stato cacciato ma si è dimesso, è sotto gli occhi di tutti quello che è successo: Mungo è stato più volte oggetto di aggressioni e intimidazione. È normale che un politico non può reggere questo carico, e Mungo l’ha detto chiaramente: le sue dimissioni sono nate dal fatto che ci sono indagini in corso e Mungo, in una lettera che mi ha inviato, mi ha detto di volersi fermare un anno perché non reggeva questo ritmo. È stata una sua decisione, che ho rispettato, e il suo partito mi ha chiesto di procedere con la sostituzione».

Tutti i politici già sapevano dell’indagine?

Tra silenzi e non detti, i due mesi successivi alle dimissioni di Mungo sono stati la fiera dell’ipocrisia politica catanzarese. Tra il «Ho servito la città, non me ne sono servito» dello stesso Mungo, la «vicenda sulla bocca di tutti di cui si occuperanno altri» spiattellata a mò di metafora in consiglio comunale dalle opposizione, «le voci che si sentono in giro» sibillate da Enzo Ciconte, e il «ci sono indagini in corso» di Abramo, possiamo desumere, col senno di poi e unendo i puntini, che tutti sapevano dell’indagine a carico dell’ex assessore, divenuta solo oggi di dominio pubblico.

Da Claudio Parente a Pippo Callipo per “sistemare” la figlia?

Tra i profili di questa indagine vi è l’accusa a Mungo di essersi «messo a disposizione» di tale Antonio Lagonia dell’associazione Asd Catanzaro Nuoto per qualsiasi esigenza legata alla gestione della piscina comunale e dei campi da tennis, ricevendo in due tranches la somma di 14mila euro oltre all’assunzione della figlia, Cristina Mungo, nelle file dell’associazione sportiva (il tramite sarebbe stato, secondo l’accusa, l’ex fidanzato di lei).

 

Cristina Mungo pare abbia abbandonato il nuoto ed è stata nominata segretaria particolare al 50% lo scorso 11 marzo (in pieno lockdown, per lavorare in smartworking) con uno stipendio lordo di 1.698,86 euro mensili, del consigliere regionale Francesco Pitaro, eletto con “Io resto in Calabria” e vicinissimo a Pippo Callipo fino a quando, a causa della mancata nomina a segretario questore del consiglio regionale (toccata a Graziano Di Natale), transitò nel gruppo misto per divenirne capogruppo.

 

La nomina è avvenuta, con buona probabilità (in quanto in Calabria la nomina dei portaborse non avviene su base meritocratica, ma per garanzia di pacchetto di voto) in quanto Mungo padre si è speso in prima persona a favore di Pitaro nell’ultima campagna elettorale per le elezioni regionali. Necessità di «sistemare la figlia» ripicca ad Abramo-Parente o l’ennesima storia di transfughi da una parte all’altra dell’emisfero politico calabrese? Si vedrà, sta di fatto che nessuna dichiarazione di commento all’inchiesta che tocca la sua portaborse è stata rilasciata da Pitaro.

Giornalista
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