L’accusa

Corigliano Rossano, il Pd analizza la sconfitta: il direttivo contro il segretario provinciale Pecoraro

Nell'analisi del post-voto, sott’accusa ci sono i vertici provinciali: «Un partito percepito senza identità politica, autoreferenziale, correntizio, con una classe dirigente che si autoconserva»

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di Matteo Lauria
16 ottobre 2022
22:00
Il segretario provinciale del Pd di Cosenza Pecoraro
Il segretario provinciale del Pd di Cosenza Pecoraro

Gli effetti del post-voto nel Pd a Corigliano Rossano si fanno sentire. E sulla necessità di rilanciare i Dem anche in vista delle amministrative del 2024 gran parte del direttivo, al suo interno diviso, si trova d’accordo. Preso di mira l’attuale segretario provinciale Vittorio Pecoraro che alla luce di una serie di defezioni interne al partito Jonico dichiarava «che fa più rumore un albero che cade che una foresta che cresce». E, invece, «ci siamo ritrovati all’indomani del 25 settembre di fronte ad una desolante deforestazione».

A parere dei membri del direttivo (Giuseppe Tagliaferro, Tommaso Savoia, Franco Cirò, Giovanni Spezzano, Franco Madeo, Carmen Fusaro, Rosaria Curatelo, Saverio Salituri, Pina Cavallo, Antonella De Simone, Giovanni Romano, Francesco Fusaro, Luigi Iacino. Carmela Dodaro, Francesca Oliveto) «avere preferito il comando burocratico del capo che impronta e liquida i rapporti col vecchio vizio “o con me o contro di me”, anziché avere più umiltà e maggiore capacità di ascolto del malessere, delle richieste e dei dubbi che provenivano dai dirigenti e militanti del territorio, ha reso ancora più difficoltosa una campagna elettorale già difficile».


I rappresentanti Dem sottolineano come non sia stata posta in essere nessuna operazione di trasparenza nelle relazioni tra il Pd e l’attuale amministrazione comunale a guida Stasi. «La mancanza di un chiarimento da parte dei vertici provinciali non solo ha creato confusione e disorientamento tra i molti dirigenti, militanti ed iscritti, ma non ha prodotto neanche il tanto sperato apporto in termini di voti».

Tra le osservazioni emerse, le obiezioni mai chiarite sui criteri di selezione delle candidature ai collegi di Camera e Senato ma anche quel giusto e opportuno approfondimento sulla crisi e sulla sconfitta del partito. Oggi la questione viene liquidata in maniera approssimativa e si sostiene la tesi secondo cui la «sconfitta non sia dipesa dalle mancate candidature locali, non essendo una questione di nomi». Infine la dura e spietata analisi sulle condizioni dei Dem.

«Un partito percepito nell’opinione pubblica senza identità politica, autoreferenziale, correntizio, una classe dirigente che si autoconserva tra incarichi istituzionali e posizionamento di supremazia negli organismi interni, responsabile della sconfitta annunciata e che oggi pensa di scaricare tutte le responsabilità sul segretario nazionale Enrico Letta e di continuare a condizionare il futuro del partito, nonostante di quel sistema partitocratico non abbia disdegnato di far parte».

Giornalista
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