C’era una volta, e non è una favola, la coppia più bella del mondo. Uno veniva dal cuore dell’Italia, dalla Firenze di Palazzo Vecchio, l’altro dai salotti buoni dell’industria romana e dell’Europa che conta. Matteo Renzi e Carlo Calenda, l’ex rottamatore diventato imprenditore di sé stesso e l’ex manager diventato predicatore liberale, avevano tutto: eloquio, ambizione, visione, vanità. Soprattutto, avevano capito che nello scacchiere sbriciolato della politica italiana c’era spazio per un centro nuovo, moderno, riformista, né troppo di sinistra né mai di destra (ma ogni tanto anche sì).
Insieme potevano diventare il Macron italiano, anzi due Macron in uno, perché in fondo entrambi amavano dare lezioni, pontificare e litigare con i giornalisti.
Con Azione e Italia Viva nasceva un progetto che sembrava avere un senso: riempire il vuoto lasciato dalla morte cerebrale del Pd riformista, dal collasso della destra liberale e dalla fuga dei moderati. Insomma, un’operazione chirurgica nel cuore pulsante dell’elettorato orfano. Ma quello che doveva essere un matrimonio di ragione e strategia si è rivelato, ben presto, una relazione tossica fra due primedonne in cerca di applausi.
Renzi: geniale, fulminante, imprevedibile. Ma con una predilezione compulsiva per i colpi di scena, anche quando sarebbe meglio starsene quieti. Resta convinto che, a ogni passo falso, sia il mondo a sbagliare, non lui. Gli errori? Degli altri. I tradimenti? Necessità storiche. L’umiltà? Un concetto sopravvalutato. È proprio Renzi il peggiore nemico di sé stesso.
Calenda: razionale fino all’arroganza, indignato per vocazione, eterno ministro dell’economia in pectore di una Repubblica ideale dove tutto funziona come un diagramma di flusso. Peccato che le emozioni, e la politica vera, non seguano Excel. E soprattutto peccato che ogni divergenza, anche minima, diventi un comunicato stampa infuocato o un tweet passivo-aggressivo.
Hanno litigato per il simbolo, per la lista unitaria, per chi comandava davvero, per chi avrebbe scelto i candidati, per chi era il vero riformista. Ma più di tutto, hanno litigato per la scena. Nessuno dei due voleva fare la spalla. E alla fine, il pubblico si è stancato della telenovela: gli elettori hanno cominciato a guardarli con lo stesso sguardo con cui si osservano due ex amanti che continuano a litigare nei talk show come fossero ancora a cena insieme.
Il risultato? Un suicidio politico a due voci, un centro sfilacciato, una rappresentanza evaporata, un potenziale sprecato. E la sensazione diffusa che, a ben vedere, più che governare l’Italia, Renzi e Calenda volessero governare sé stessi. Senza riuscirci.
Se l’ego fosse energia rinnovabile, avrebbero già salvato il pianeta. Ma nella politica reale, quella dei voti, dei territori, dei compromessi e del consenso sudato, servono più squadra e meno solisti. E allora, la coppia più bella del mondo si è scoperta la più scoppiata. Forse l’Italia aveva bisogno di loro. Ma loro, purtroppo, avevano troppo bisogno di sé stessi.