Dietro l’ok alla candidatura di Fico, c’è un accordo che sa di ricatto politico: congresso lampo del Pd campano, segreteria al fedelissimo Mastursi, spazio per la lista civica e per il figlio Piero. Il tutto firmato dalla segretaria dei dem che lo aveva commissariato
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Vincenzo De Luca e Elly Schlein
Chiamatela la vendetta del governatore, oppure la resa di Elly Schlein. I toni sono questi, perché la sostanza è brutale: per incassare il sì di Vincenzo De Luca alla candidatura di Roberto Fico alla presidenza della Regione Campania, il Nazareno ha dovuto inginocchiarsi. E lui, l’ex sindaco di Salerno che per anni ha dileggiato il Movimento e sfidato il partito a ogni angolo, ha presentato un conto salatissimo. Che Schlein ha pagato, rassegnata, con un mezzo sorriso da resa.
L’accordo – ormai lo sanno anche i palazzi vaticani – prevede un congresso lampo del Pd campano a settembre, col partito ancora commissariato proprio su volontà della stessa Elly. Ma attenzione: il nome che dovrà uscire dalla conta è già noto. Nello Mastursi, fedelissimo della prima ora, l’uomo che ha costruito la macchina De Luca nel 2015, è pronto a diventare segretario regionale. Un altro pezzo dello scacchiere che consentirà al governatore uscente di continuare a comandare anche da pensionato politico.
E poi c’è il figlio. Sì, Piero De Luca, l’aspirante golden boy della dinastia salernitana, da anni in orbita nazionale. L’accordo prevede incarichi nel Pd romano, quelli che contano, e un ruolo per lui nella definizione delle future alleanze. Non solo: De Luca senior ha ottenuto due assessori suoi nella nuova giunta, sempre che il centrosinistra vinca le regionali d’autunno. Ovviamente con deleghe pesanti. E ciliegina sulla torta: una lista civica personale, marchiata De Luca, nel quadro della coalizione. Praticamente un partito nel partito.
Il tutto in cambio di cosa? Del sì alla candidatura di Roberto Fico, quello che De Luca ha preso a schiaffi politici per mesi, chiamandolo “parrucchino grillino” e altre finezze da talk show. Ora, all’improvviso, Fico diventa un nome accettabile. Lo vuole Conte, lo sostiene il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, e Schlein non ha la forza (né il coraggio) per dire di no. Il prezzo lo paga lei, ma la figura la fa il governatore.
Perché è questo il cuore della faccenda: Elly voleva rottamarlo, lo aveva dipinto come simbolo dei “cacicchi”, gli aveva tolto il partito sotto i piedi commissariando tutto. E adesso glielo riconsegna con gli interessi. In Campania, il Pd sarà DeLuca&DeLuca S.p.A., con segreterie, liste, assessorati e sottobosco rigorosamente marchiati. Una revanche in piena regola, e chi pensava che il governatore si sarebbe fatto da parte con eleganza non conosce il personaggio.
Lo sanno bene anche nel partito. A Napoli e provincia è partito il malcontento, la fronda silenziosa di chi si era esposto contro De Luca e ora si ritrova con la faccia spalmata sull’asfalto. “Ci hanno scaricato”, sibilano gli ex bonacciniani oggi passati con Schlein, come Giuseppe Annunziata, attuale segretario provinciale. In ballo c’è pure la segreteria napoletana, che dovrebbe andare a congresso in contemporanea con quella regionale. Peccato che l’esito sembri già scritto con la calligrafia di Salerno.
Il cortocircuito è servito. Perché la stessa segretaria che si era imposta con la parola d’ordine “rinnovamento” ora si ritrova ad abbracciare il peggior manuale Cencelli del vecchio centrosinistra. Ha ceduto tutto, ha imposto il patto persino ai suoi fedelissimi, quelli che avevano costruito l’offensiva contro De Luca, e ora si ritrovano a difendere l’indifendibile. Perché la politica, a volte, è solo questo: uno scambio di mutue ipocrisie, e chi resta senza sedia alla fine della musica, perde.
E mentre il governatore incassa e pianifica il futuro della sua dinastia, a Roma si cerca di reggere la facciata. Bonaccini, Decaro, Franceschini, Orlando: mezza classe dirigente Pd è in subbuglio, al telefono giorno e notte per tentare di rimettere mano al patto, magari addolcirlo, ammorbidirlo, “riequilibrarlo”. Ma la verità è che non c’è più margine, perché De Luca ha vinto la sua guerra. E ora detta condizioni.
Certo, i congressi devono ancora tenersi. E molti scommettono che non si faranno nemmeno. Troppo poco tempo, troppe tensioni, troppe vendette pendenti. Ma intanto il messaggio è passato: chi mena per primo, mena due volte. E se la segretaria sperava che bastasse un commissariamento per spegnere il fuoco campano, ora sa che quel fuoco brucia ancora. E brucia anche lei.