La Lega braccata dai giudici potrebbe decidere di fondare un nuovo partito fotocopia

VIDEO | La Cassazione ha dato il via libera al sequestro di ogni somma “ovunque rinvenuta” per recuperare 49 milioni di euro indebitamente incassati all’epoca di Bossi. Salvini parla di attacco politico ma pensa a una exit strategy

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di Enrico De Girolamo
5 luglio 2018
13:50
Matteo Salvini, Francesco Belsito e Umberto Bossi
Matteo Salvini, Francesco Belsito e Umberto Bossi

Chissà se alla fine la mazzata giudiziaria arrivata dalla Cassazione, che ha dato il via libera al sequestro di ogni somma della Lega, “ovunque venga rinvenuta”, non si traduca per Matteo Salvini nella motivazione decisiva per rompere definitivamente con il passato bossiano e dare al partito una nuova veste cucita su misura per il nuovo orientamento sovranista diametralmente opposto al vecchio movimento secessionista degli inizi, che se ne andava in giro con la sacra ampolla del Po’.

 


Un‘eredità pesantissima quella di Umberto Bossi, che il 24 luglio del 2017, insieme all’ex tesoriere, il calabrese di origini vibonesi Francesco Belsito, è stato riconosciuto da parte del Tribunale di Genova colpevole di aver truffato il Parlamento italiano, distraendo 48.969.617 euro di rimborsi pubblici ottenuti fra il 2008 e il 2010. Soldi che secondo i giudici sarebbero stati fruiti presentando rendiconti irregolari e sarebbero stati usati in parte per spese personali della famiglia Bossi. Due giorni fa, infine, la Corte suprema ha stabilito che i soldi vanno recuperati in qualunque modo e ovunque vengano rinvenuti, aprendo la porta all’ipotesi che a finire sotto sequestro non debbano essere soltanto le somme già in cassa (poca cosa) ma anche quelle incassate in futuro a qualunque titolo. Un vero terremoto per quello che, nei sondaggi, è ormai il primo partito italiano, che rischia di compromettere la campagna elettorale per le europee del 2019.

 


 

«Cercano di farci fuori per via giudiziaria!», ha tuonato Salvini, appellandosi addirittura al Capo dello Stato affinché intervenga nella questione, cosa che – ovviamente – Sergio Mattarella non può fare, tanto più che tutto ruota intorno a una sentenza passata in giudicato. Ma chiamare in causa l’inquilino del Quirinale è servito per esacerbare la questione e spostarla sul piano politico. A dare manforte a questa strategia è tutto l’entourage di Salvini, che grida al complotto e all’attentato alla democrazia.

 

Il Consiglio superiore della magistratura (presieduto dal Capo dello Stato, è bene ricordarlo) ha fatto trapelare «seria preoccupazione per parole e toni non accettabili». Esplicita, invece, la presa di posizione dell’Associazione nazionale dei magistrati (Anm), che, attraverso l’ex presidente Eugenio Albamonte, ha definito «fuori da qualsiasi parametro costituzionale il tentativo da parte della Lega di coinvolgere il Presidente Mattarella in una vicenda giudiziaria che la riguarda». Sempre dall’Anm, il segretario Alcide Maritati ha affermato: «Evidentemente le sentenze vanno rispettate in qualunque Paese democratico del mondo. Si possono criticare le sentenze ma non attaccare i giudici, perché questo è contrario al principio di separazione dei poteri». A difendere la sentenza è stato lo stesso procuratore di Genova, Francesco Cozzi, che ha rigettato la definizione di processo politico: «Non lo è - ha detto -. Come non lo sono i procedimenti fatti dalla procura di Genova per fatti che coinvolgevano esponenti di altri partiti. Qui è parte civile il Parlamento italiano».

 

Costituzione di parte civile che era stata promossa anche dalla Lega (solo però nell’ambito del processo che riguardava Belsito), salvo poi revocarla su disposizione dello stesso Salvini nel 2014. «Non possiamo perdere tempo e neppure soldi, oltretutto per cercare di recuperare soldi che certa gente non ha – affermò in quell’occasione il leader leghista - in primo luogo sono cose che fanno parte del passato: due, se ne occupano gli avvocati e non la politica. Ma soprattutto mi spiacerebbe intasare i tribunali della Repubblica andando a chiedere quattrini che certa gente neppure ha».
La revoca della costituzione di parte civile innescò all’epoca velenose supposizioni, a cominciare dal fatto che Belsito potesse essere a conoscenza di segreti che in qualche modo lo proteggevano da richieste risarcitorie dirette.

 

Quel passato torna ora a turbare le ambizioni di una Lega lanciatissima, che potrebbe cogliere l’occasione per decidere di bruciarsi i ponti alle spalle. L’exit strategy che sta prendendo forma in queste ore nei piani alti di via Bellerio, infatti, prevede un taglio netto, con la costituzione di un nuovo soggetto politico che scaturisca da un nuovo congresso. Ipotesi già accarezzata in passato, ma scartata per non dare l’impressione di scappare dinnanzi alla magistratura. Tutte considerazione che adesso perdono di efficacia davanti a quella perentoria direttiva impartita dalla Cassazione alla guardia di finanza: sequestrare ogni somma “ovunque venga rinvenuta”.

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