Minoli padrone della Rai: gli interessi in Calabria per milioni e gli strani silenzi di Pd, M5S e de Magistris

Lo storico conduttore di Mixer tenta di scalare l’azienda pubblica utilizzando uno strano contenzioso come arma di pressione, come denuncia Il Fatto Quotidiano. Il noto giornalista è il commissario della Calabria Film Commission tra mega assunzioni e un progetto di Studios milionario che ricorda quello tentato in Sicilia e finito in bancarotta 

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di Pa. Mo.
14 aprile 2021
19:50

Possiamo tranquillamente affermare che se la tv pubblica oggi dovesse essere descritta con il volto di un padrone, quel volto sarebbe quello di Giovanni Minoli. Almeno secondo il retroscena descritto da un pezzo su Il fatto quotidiano di oggi, a firma di Tommaso Rodano. Secondo la ricostruzione de’ “il Fatto”, Minoli, potrebbe utilizzare un macroscopico contenzioso con mamma Rai per contrattare una sua postazione nel CdA dell’azienda o addirittura la stessa Presidenza.

Ma facciamo un passo indietro. Tutto inizia quando «l’ex direttore generale Mauro Masi -scrive Rodano sul Fatto- gli ha regalato (con un accordo rimasto lontano dai riflettori) i diritti delle immagini di La Storia siamo noi, un archivio che contiene autentiche gemme della storia nazionale. Lo ius di Minoli -secondo la narrazione de “Il fatto Quotidiano- riguarda tre anni (2010-2013) e 576 ore di girato. Considerato che il valore di mercato oscilla tra gli 800 e i 1.000 euro al minuto, parliamo di un tesoro da una trentina di milioni di euro».


Insomma nella ricostruzione de Il Fatto, Giovanni Minoli, sembrerebbe che stia tentando di utilizzare questo generoso contenzioso con la Rai, vecchio di dieci anni, che già in sé dovrebbe essere uno scandalo, come un “impercettibile strumento di persuasione” per mettersi in gioco nella imminente partita delle nomine in Rai. Se questa surreale ipotesi si dovesse verificare, sarebbe veramente un oltraggio ad ogni forma di etica pubblica e uno spregio ad ogni regola sul conflitto d’interesse.

Questo conflitto d’interesse verrebbe a manifestarsi sempre secondo “Il Fatto Quotidiano”, «Non solo e non tanto per la questione multimilionaria dell’archivio (a quel punto sarebbe trattativa “Minoli- Minoli”), ma per i rapporti commerciali ancora più pesanti che legano la tv pubblica alla casa di produzione Lux Vide di Matilde e Luca Bernabei, moglie e cognato di Gianni».

E già, anche in questo caso, come già avvenuto per la nomina di Giovanni Minoli a commissario della Film commission Calabria, emerge un macroscopico conflitto d’interesse con gli interessi di famiglia. La famiglia Bernabei, appunto, una delle maggiori holding di produzione di fiction. E, guarda caso, Minoli in Calabria sta completamente stravolgendo la natura della fondazione regionale calabrese per trasformarla in soggetto con l’obiettivo di produrre prevalentemente fiction, con tanto di Studios da realizzare a Lamezia Terme, un progetto per il quale, il presidente FF della regione, il leghista, Nino Spirlì, ha destinato 20 milioni di euro.

Intendiamoci niente di nuovo, il progetto è pericolosamente simile a quello che Minoli voleva realizzare in Sicilia, anche quello con Studios, clamorosamente fallito e che ha bruciato circa 70 milioni di euro. Perdite rimaste sulle spalle della regione Sicilia e della stessa Rai. Per quel fallimentare progetto, un PM, aveva indagato e arrivato a chiedere finanche l’arresto del noto giornalista. Tutto poi finito nel porto delle nebbie della giustizia, e con il trasferimento dello stesso PM. Ma questa è un’altra storia, su cui torneremo nei prossimi giorni.

Dopo la catastrofe Sicilia, la “tavola” sembra apparecchiata anche in Calabria. Tutto sembra pronto per fare razzia di qualche altro milione di euro. Nel frattempo la Film Commission di stampo minoliano, si è dotata di un elefantiaco staff, fatto di assunzioni di amici e compari del centro destra regionale e uno stuolo di consulenti storici del noto giornalista. In tale apparato chiaramente, hanno trovato sistemazione i clientes di alcuni assessori regionali e l’ex capo della segreteria della defunta presidente Jole Santelli, Gianpaolo Calabrese. Il tutto condito dalla nomina di Gianvito Casadonte e patron del Magna Grecia Festival. Un apparato da oltre mezzo milione di euro. Il tutto in piena pandemia con i calabresi alla canna del gas dal punto di vista sanitario ed economico e sociale.

Ma torniamo al pezzo de’ Il Fatto Quotidiano a firma di Tommaso Rodano. Secondo il retroscena rivelato dal giornale di Travaglio, se Minoli scalasse i vertici di mamma Rai, si troverebbe a gestire le tante commesse che la società della moglie e del cognato gestiscono nella maggiore industria culturale pubblica del paese. «La società Bernabei infatti, lavora assiduamente con la Rai, alla quale ha venduto, tra gli altri, prodotti come Don Matteo, Un passo dal cielo, I Medici, Che Dio ci aiuti, Sotto copertura, C’era una volta Studio Uno. Il gioiello di famiglia – scrive ancora Il fatto Quotidiano- di recente è stato messo sul mercato, ma anche se dovesse essere venduto (tutto o in parte) in tempi brevi, i Bernabei dovrebbero conservare incarichi operativi.

Ma c’è un’altra notizia che rimbalza tra i corridoi di Viale Mazzini che potrebbe trasformare il settimo piano – quello nobile della dirigenza –in un’autentica dependance di casa Minoli. Il ministro della Cultura Dario Franceschini starebbe valutando di spingere come prossimo amministratore delegato della Rai il suo uomo di fiducia (e segretario generale al Mibact) Salvo Nastasi. -Secondo Rodano- Lo scrive sul sito Sassate.it – generalmente ben informato sui fatti della tv pubblica – l’ex direttore Comunicazione della Rai, Guido Paglia. Nastasi è sposato con Giulia Minoli, figlia di Gianni e Matilde Bernabei. Se si dovesse realizzare, anche in parte, la clamorosa triangolazione minoliana, per adesso frutto di suggestioni e (auto)candidature, ci sarebbe una concentrazione di potere spaventosa nella televisione nazionale».

I rapporti trasversali di Giovanni Minoli, d’altronde, si possono evincere dai silenzi trasversali sia a Roma che in Calabria. La rapina calabrese in corso, non ha minimamente prodotto nessuna presa di posizione da parte dell’opposizione. Tutti muti. A cominciare da quel PD che evidentemente risponde ad una consegna del silenzio direttamente ordinata da Dario Franceschini. Ma tacciono anche dal movimento 5 stelle, i liberi battitori alla Nicola Morra, fino ad arrivare a Luigi de Magistris che parla sempre di legalità e malcostume ma non di quello targato Minoli. La Calabria Film commission non interessa nessuno? Lo scandalo dei 20 milioni destinati dalla Giunta regionale alla realizzazione degli Studios finalizzati alla produzione di fiction non incute una certa curiosità alla politica di destra, di centro o di sinistra? I misteri dei silenzi, sono la conseguenza dell’oblio ordinati dalla fratellanza, dal potere dei salotti buoni romani e catanzaresi?

Giornalista
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