Mozione respinta

Non passa la sfiducia a Santanchè, la maggioranza compatta salva il ministro del Turismo

Respinta con 111 contrari a 67 la mozione di sfiducia presentata dal Movimento 5 Stelle contro il ministro di Fratelli d’Italia Daniela Santanchè. Votano a favore Pd e Alleanza Verdi e Sinistra, si sfilano Renzi e Calenda con Azione-Italia Viva che lascia l’aula e non vota

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di Marcella Mastrobuono
26 luglio 2023
15:24

Non c’è stato il colpo di scena che qualcuno aveva immaginato nei giorni scorsi, con pezzi di maggioranza che segretamente fanno lo sgambetto al ministro scomodo. E sarebbe stato decisamente improbabile vista la votazione nominale, con i senatori che uno a uno passano sotto il banco della presidenza urlando il loro sì o il loro no. E così la mattinata del Senato è andata come ci si aspettava, con la mozione di sfiducia al ministro Santanchè rifiutata da una maggioranza compatta, 111 voti contrari contro i 67 favorevoli del Movimento 5 Stelle, del Partito democratico e di Alleanza Verdi e Sinistra. Il Terzo Polo ha deciso anche stavolta di sfilarsi dalla inusuale unità delle opposizioni e fare da stampella alla maggioranza, con i senatori del gruppo che, insieme a Calenda, sono usciti nel momento della votazione e Renzi che non era neanche presente in Aula. Le mozioni di sfiducia non hanno senso, dicono, sono controproducenti e servono solo a compattare la maggioranza. «Non partecipiamo, faremmo il gioco di Meloni» ha addirittura spiegato il renziano Borghi.

Il Governo sostiene il suo ministro

Ma la maggioranza sembrava già compatta, con il Governo schierato quasi al gran completo per mettere a tacere le voci di fratture e blindare il ministro del Turismo. Al banco dei ministri, vicino a Santanchè, ci sono Salvini, Musumeci, Bernini, Roccella, Abodi, Calderoli, Fitto, Alberti Casellati, Ciriani, Giorgetti, Urso e diversi sottosegretari. Nessuno è preoccupato a Palazzo Madama, tutti chiacchierano e ridacchiano, l’esito è scontato. E le risate dai banchi della maggioranza scatenano la rabbia del 5 Stelle Ettore Licheri, che con la sua citazione operistica accende la bagarre: «Dopo il voto resterà una ministra dello Stato che allo Stato deve oltre un milione di euro di tasse non pagate. Se volete continuare a ridere, ridete pure. Pagliacci!».


Le parole di Santanchè

Santanchè ha preso la parola in Aula, ribadendo il fatto di non sapere di essere indagata quando aveva parlato al Senato il 5 luglio e tornando ad attaccare la stampa. La chiama “inchiesta pseudo-giornalistica”, quella di Report che ha svelato i comportamenti illeciti delle sue aziende nei confronti del Fisco e dei lavoratori non pagati.

«Quando sono venuta in Senato il 5 luglio non ero stata raggiunta da alcuna informazione o avviso di garanzia da parte della Procura della Repubblica di Milano. Per cui non solo ho detto la verità, ma chi dice il contrario mente sapendo di mentire» ripete Santanchè «Negli interventi da parte dei rappresentanti di gruppi di opposizione non ho mai trovato critiche o censure attinenti all’esercizio delle mie funzioni di ministro. Ci possono essere diversità di opinioni, diversità che io rispetto. Ho invece qualche difficoltà a comprendere come si possa promuovere una mozione di sfiducia che non ha come oggetto il mio operato da ministro della Repubblica. Ma che ha per oggetto dei fatti che, se verranno evidenziati, sono antecedenti al mio giuramento da ministro». Santanchè non fa che ripetere quello che più o meno in aula hanno detto tutti dai banchi della maggioranza, come se le dimissioni di un ministro indagato per bancarotta e falso in bilancio non fossero un tema di opportunità politica, ma solo una formalità da espletare, nel caso, se ci fosse una condanna dopo i tre gradi di giudizio, ma forse neanche in quel caso perché i reati sarebbero antecedenti al giuramento da ministro.

Il sostegno della maggioranza

Molti, come l’avvocato e compagno di partito Balboni, si spingono fino a lodare Daniela Santanchè come modello, un esempio per gli imprenditori per aver messo a disposizione il suo patrimonio per salvare le sue aziende in un momento di difficoltà. Micaela Biancofiore parla di atteggiamento giacobino, la fedelissima berlusconiana Licia Ronzulli rispolvera l’uso politico della giustizia e la lotta tra giustizialisti e garantisti, il leghista Romeo insiste nella necessità di distinguere l’attività imprenditoriale da quella politica e chiude rivolto ai 5 Stelle come un leone da tastiera qualunque: «Abbiamo vinto noi, fatevene una ragione».

Le accuse delle opposizioni

«Chi si candida si impegna a non operare in situazioni di conflitto di interesse e a dimettersi in caso di vicende giudiziarie o condotte incompatibili con il prestigio e l’integrità richieste per ricoprire l’incarico». A leggere è Alessandra Maiorino, del Movimento 5 stelle, ma il foglio che ha in mano è il codice etico di Fratelli d’Italia «Con queste parole vi siete presentati agli elettori, oggi tradite quanto scritto nel vostro codice etico. Avreste dovuto chiedere voi al ministro di dimettersi e di togliervi dall’imbarazzo. Non è giustizialismo, è rispetto per le istituzioni. Sappiamo che questa non è un’aula di tribunale, qui si fa politica e si misura se una persona è all’altezza o meno del ruolo che è chiamata a ricoprire con disciplina e onore e credo che mentire ripetutamente, in quest’aula e quindi al popolo italiano, non sia esattamente un comportamento specchiato».

«Basta, vedere complotti della Magistratura ovunque. Il presidente del Consiglio Meloni è negli Stati Uniti, quando torna fatevi spiegare come funziona lì quando un imprenditore non paga le tasse» ha detto Walter Verini del Partito Democratico e indicando il banco dei ministri: «State tenendo in ostaggio il ministro della Protezione Civile da ore mentre la Sicilia brucia» accusa, ma Musumeci non se ne accorge.

Il nome della premier Meloni è venuto fuori spesso, come era prevedibile.

«È assurdo che la presidente del Consiglio non abbia battuto ciglio sulla questione» ha detto Giuseppe De Cristofaro di Alleanza Verdi e Sinistra «Doveva essere lei a chiedere le dimissioni del suo ministro, non le opposizioni. È un grave errore difendere l’indifendibile, per Meloni un’occasione sprecata. Se rubi pochi euro al supermercato vieni chiamato ladro. Se non paghi i lavoratori, se fai fallire i piccoli investitori, se non restituisci 2,7 milioni di euro di fondi Covid, diventi ministro».

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