A Salvini hanno fregato il pupazzetto di Zorro ma c’è poco da ridere

In questi giorni la rete si è scatenata sulla “rivelazione” contenuta nel libro-intervista del ministro dell’Interno, che quando era all’asilo venne privato del suo eroe da un compagno. Ma forse anche questo apparente passo falso è strategia comunicativa

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di Enrico De Girolamo
18 maggio 2019
13:41
Uno dei meme che circolano sulla rete
Uno dei meme che circolano sulla rete

Un libro non dovrebbe mai essere giudicato dalla copertina, ma la prima pagina è comunque un ottimo indizio per cominciare a farsi un’opinione. Così, arrivando in fondo alle prime righe di Io sono Matteo Salvini, libro-intervista di Chiara Giannini sul Capitano, il senso di smarrimento è profondo. Il dilemma è quello più classico: ridere o piangere?

Si rimane sospesi e increduli nell’apprendere che Matteo «di ingiustizie, nella vita, ne ha subite anche lui, sin da piccolo, quando racconta ironicamente che all’asilo gli rubarono il pupazzetto di Zorro». A dire il vero la rete non ci ha messo molto a decidere quale sentimento esternare: e ha cominciato a ridere. Ma forte.


 

L’hashtag #zorro è trend topic su tutti i social, i meme si contano a migliaia, alcuni video in cui si bullizza il nuovo bullo della politica italiana sono diventati già un cult, come quello in cui una banda di rapitori mascherati si dice pronta a restituire il pupazzetto in cambio dei 49 milioni di euro spariti che la magistratura sta ancora cercando nei conti della Lega.
Eppure, una volta esaurita l’ilarità, viene anche un po’ da piangere a pensare che intorno a quel libro, stampato da Altoforte, editore considerato vicino al partito di ultra destra CasaPound, si è consumato un fortissimo scontro culturale e d’opinione, che alla fine è sfociato nell’esclusione della casa editrice e del volume dal Salone del libro di Torino. Viene da piangere perché trova ennesima conferma il lampo di genio più citato di Ennio Flaiano: «In Italia la situazione politica è grave ma non è seria».

 

Anche l’antifascismo rischia di finire in barzelletta se quello che viene additato come il presunto nemico è uno che, “ironicamente”, si dice ancora traumatizzato dal fatto che quando aveva cinque anni gli hanno soffiato Zorro all’asilo. Il rischio, appunto, è che tutto venga ricondotto sui binari della scarsa serietà italica, dove ogni cosa è risolvibile a tarallucci e vino.
È presumibile che Salvini abbia letto le bozze del “suo” libro, e dunque è presumibile che quel surreale incipit abbia avuto il via libera da parte del suo staff (La Bestia, così è chiamata l’organizzazione della sua strategia comunicativa, a sottolinearne forza e spregiudicatezza), forse proprio per conseguire il risultato che sta raggiungendo: mandare tutto in vacca, confondere le acque, disarmare il popolo degli striscioni che cominciano ad apparire a finestre e balconi in occasione di ogni tappa dell’eterna campagna elettorale leghista.

 

Anche la censura subita al Salone del libro di Torino finisce per essere ridicolizzata: che paura può fare un bimbo a cui hanno fregato il pupazzetto? Nessuna, al massimo fa tenerezza, se non fosse che quel "bimbo” oggi è a capo delle forze dell’ordine del settimo paese più industrializzato al mondo. Insomma, c’è davvero ben poco da ridere.

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